La stipula del contratto con il quale vengono trasferite quote di una società dietro pagamento di un prezzo costituisce da sola il presupposto, prescritto dalla legge 102/1991, articolo 3, per assoggettare la plusvalenza a imposta sostitutiva, a nulla rilevando l'eventuale mancato pagamento del corrispettivo pattuito.

A tali conclusioni è pervenuta la Corte di cassazione con la sentenza 29745/2008.

La controversia

Due contribuenti impugnavano innanzi alla Ctp il silenzio rifiuto opposto dall'Amministrazione finanziaria alla loro istanza di rimborso, relativa a quanto versato pro-quota a titolo d'imposta sostitutiva sulle plusvalenze, dovuta a seguito dell'atto di cessione delle quote di una Srl di cui gli stessi erano proprietari.

I contribuenti, in particolare, fondavano l'impugnativa sulla circostanza che con una successiva pattuizione avevano annullato con efficacia retroattiva la precedente cessione delle quote, per cui nulla era dovuto all'Erario, non essendosi verificato il presupposto impositivo, in quanto nessuna plusvalenza era stata realizzata. La Ctp accoglieva il ricorso.

La Commissione tributaria regionale rigettava il successivo appello proposto dall'ufficio, ritenendo che nella specie non si era verificata alcuna plusvalenza in quanto non era stato pagato il corrispettivo originariamente pattuito.

L'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in Cassazione, deducendo sia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 81 e 82 del Tuir (ora 67 e 68), che in materia di redditi diversi regolamentano il trattamento tributario delle plusvalenze relative a cessioni di partecipazioni sociali, sia la natura consensuale dell'originario negozio di cessione delle quote sociali.

La sentenza

La Suprema corte ha accolto il ricorso con argomentazioni che rinvengono la loro fonte nella qualificazione giuridica dell'atto traslativo di proprietà delle partecipazioni sociali.

Secondo i giudici, infatti, il contratto con il quale vengono trasferite quote di una società dietro pagamento di un prezzo rientra nella nozione di compravendita, cioè di un tipico contratto consensuale, per il cui perfezionamento è sufficiente l'accordo delle parti, non essendo necessario il pagamento del prezzo pattuito o il trasferimento della res.

La caratteristica principale dei contratti consensuali, nel cui genus è ascrivibile la compravendita, risiede, infatti, nella circostanza che il loro perfezionamento si determina, come detto, per effetto del raggiungimento dell'accordo delle parti, a differenza dei contratti reali (quali, ad esempio, il mutuo o il comodato) che richiedono, oltre che il consenso delle parti, anche la consegna del bene.

L'applicabilità delle norme sulla compravendita alla cessione delle quote (o delle azioni) di una società di capitali è stata riconosciuta, peraltro, in più di un'occasione dalla giurisprudenza, in relazione a ipotesi in cui venivano in considerazione non le caratteristiche della quota o delle azioni della società, ma la consistenza e le qualità dei beni sociali (Cassazione, sentenze 2843/1996, 12921/1991, 4382/1979, 2748/1952).

Tale orientamento muove dalla considerazione che "le azioni (e le quote della società) costituiscono beni "di secondo grado", essendo rappresentativi di diritti su beni che, pur essendo ricompresi nel patrimonio della società, sono, in una certa misura,oggetto di "appartenenza" da parte dei singoli soci" (cfr Cassazione, sentenza 3370/2004).

La riconduzione della cessione delle quote sociali a titolo oneroso nell'alveo della compravendita determina come immediata conseguenza, secondo i giudici di legittimità, che la sola stipula del contratto in questione rappresenta il presupposto impositivo prescritto dall'articolo 3 della legge 102/1991, non assumendo rilevanza alcuna l'eventuale mancato pagamento del corrispettivo pattuito o la successiva risoluzione dello stesso contratto per mutuo dissenso.

Secondo la Suprema corte, infatti, il successivo accordo delle parti che prevede lo scioglimento del contratto regolante la cessione di quote sociali, anche se fatto con efficacia retroattiva (per cui il medesimo si considera come se non fosse mai stato concluso), non può avere alcuna rilevanza, ai sensi dell'articolo 1372, comma 2, del Codice civile, nei confronti dei terzi e, a maggior ragione, nei confronti dell'Erario.


Fonte: Agenzia Entrate

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