E' essenziale, per la detraibilità dell'Iva, la corrispondenza tra chi emette la fattura e il soggetto che esegue la prestazione.

E' questo, in sintesi, l'importante principio affermato dalla Cassazione (sentenza n. 27574, depositata il 20 novembre 2008), chiamata a pronunciarsi sulla detraibilità dell'imposta assolta da una società committente per un'operazione effettivamente esistente, ma eseguita da un soggetto diverso da quello che ha emesso la fattura.

La pronuncia offre lo spunto ai giudici di legittimità per ribadire come sia necessario, in generale ai fini fiscali e in tema di Iva in particolare, l'identificazione del soggetto che ha emesso la fattura per la verifica - da parte dell'Amministrazione finanziaria - dell'adempimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti. Ciò alla luce del presupposto che il costo sostenuto da un soggetto è un corrispettivo per chi ha fornito la prestazione, avuto riguardo al particolare meccanismo di applicazione dell'Iva, caratterizzato da un prelievo "a cascata" (rivalsa/detrazione), sulla base del quale se manca un anello della catena, la prova dell'adempimento dell'obbligazione erariale risulta assente.

Il fatto

L'ufficio finanziario aveva rettificato la dichiarazione Iva presentata da una società, recuperando l'imposta assolta in relazione a tre fatture passive emesse nei suoi confronti, in quanto concernenti operazioni inesistenti. Il soggetto che aveva emesso le fatture era, infatti, risultato privo dei mezzi e del personale occorrente per fornire le prestazioni fatturate.

Nei giudizi di merito, la società era riuscita a respingere le pretese dell'Amministrazione finanziaria, sui presupposti - rivelatisi errati nel giudizio di legittimità - che spettasse all'ufficio dimostrare la falsità delle fatture emesse e che fosse irrilevante la circostanza che le operazioni fatturate risultavano eseguite da un soggetto diverso da quello emittente i documenti.

La pronuncia della Cassazione

I giudici di legittimità hanno riconosciuto la fondatezza della pretesa dell'Amministrazione finanziaria, sulla base del principio di diritto secondo cui in tema di Iva l'identificazione del soggetto che effettivamente abbia fornito la prestazione è essenziale ai fini del funzionamento dell'intero sistema dei controlli fiscali. La Suprema corte ha evidenziato che se le operazioni potessero essere fatturate ad libitum, da chiunque, a prescindere dall'effettività dell'operazione sottostante, sarebbe impedito il controllo sull'ammontare del prezzo effettivamente pagato (che il percettore deve dichiarare nei componenti positivi del reddito) e sull'adempimento degli obblighi Iva, posto che il contribuente che accetta una fattura emessa da un soggetto diverso dall'effettivo prestatore del servizio non consente all'Amministrazione finanziaria di controllare se il prezzo fatturato è (in tutto o in parte) pagato e se sia stata versata l'Iva dovuta.

Conseguentemente, ha affermato la Cassazione, "Il dubbio sul soggetto che ha effettuato la prestazione, anche quando si ha la certezza che la prestazione stessa sia stata effettuata, non esclude la possibilità di recuperare il relativo costo e l'IVA apparentemente assolta".

Sotto il profilo probatorio, infine, i giudici hanno ribadito l'orientamento secondo cui, in tema di accertamento dell'Iva, qualora, come nella specie, l'Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, in quanto il soggetto emittente non aveva la struttura idonea per fornire la prestazione fatturata, è onere del contribuente dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni (cfr in senso conforme Cassazione, sentenza 21953/2007).

Fonte: Agenzia Entrate

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