Con il decreto "Visco-Bersani" (Dl 223/2006) e con la Finanziaria 2007 si è inciso, in maniera sostanziale, sui poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria in materia di transazioni immobiliari realizzate nell'esercizio dell'impresa, dell'arte e della professione.

In particolare, l'articolo 35, commi 2 e 3, del Dl 223/2006, ha modificato le disposizioni di cui agli articoli 54, comma 3, del Dpr 633/1972, e 39, comma 1, del Dpr 600/1973.

Il comma 3, ultimo periodo, dell'articolo 54, del decreto Iva prevede ora che per le "cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze" la prova "certa e diretta", concernente l'esistenza di maggiori operazioni imponibili Iva o l'inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto a detrazione, si "intende integrata" anche se tali elementi sono desunti "sulla base del valore normale dei predetti beni", determinato ai sensi dell'articolo 14 del Dpr 633/1972.

Il "Visco-Bersani", come detto, ha poi integrato anche la lettera d) dell'articolo 39, Dpr 600/1973, prevedendo che per le cessioni aventi a oggetto beni immobili ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni la prova (di tipo presuntivo) si "intende integrata" anche se "l'infedeltà dei relativi ricavi viene desunta sulla base del valore normale", determinato ai sensi dell'articolo 9, comma 3, del Tuir.

Il valore normale dei beni immobili è quindi considerato ora come strumento utilizzabile dall'Amministrazione finanziaria al fine di determinare il reale (e non simulato) corrispettivo contrattuale.

In questo senso, la scelta legislativa si limita peraltro a certificare, già nella fase accertativa, la rilevanza probatoria di un comportamento "antieconomico" che, a livello processuale, come massima di comune esperienza (id quod plerumque accidit) era già idoneo (e sufficiente) a legittimare la pretesa impositiva.

La Corte di cassazione, infatti, in varie occasioni, aveva già avuto modo di attribuire una forte valenza probatoria al riscontro del carattere "antieconomico" del comportamento del contribuente, affermando che l'effettuazione di un'operazione imprenditoriale che contrasti con i criteri di economicità, determinati in base a valori medi di riferimento, "costituisce di per sé stessa un elemento indiziario estremamente grave e preciso", in grado di legittimare l'accertamento dell'ufficio (vedi, per tutte, la sentenza n. 3980 del 22 maggio 2002).

A fronte di tale nuovo quadro normativo, tuttavia, si assiste a un contenzioso che insiste sulle seguenti eccezioni:

la presunzione di valore normale sulle cessioni immobiliari di cui all'articolo 35 del Dl 223/2006, così come poi "interpretata" dall'articolo 1, comma 265 della Finanziaria 2008 (legge 244/2007), non è una presunzione legale con inversione della prova a carico del contribuente, ma una mera presunzione semplice

il solo scostamento dal valore normale non è di per sé sufficiente a giustificare le pretese impositive dell'ufficio, il quale deve individuare ulteriori elementi che supportino l'accertamento

anche il fatto che il compratore abbia ottenuto un mutuo di un importo superiore al valore dell'immobile concesso in garanzia può essere giustificato grazie alle sue garanzie personali o essere comunque giustificato da esigenze di ristrutturazione dell'immobile.

Al fine di valutare la fondatezza o meno di tali eccezioni e di fare chiarezza sulla disciplina in esame è bene dunque ricordare subito che in tali casi le presunzioni che, fondamentalmente, possono essere utilizzate dall'Amministrazione finanziaria sono:

il valore del mutuo superiore al prezzo dichiarato nell'atto di compravendita (presunzione legale relativa)

i prezzi effettivamente praticati che emergono dalle compravendite fra i privati per la stessa zona nello stesso periodo temporale (presunzione semplice).

Considerato che, a seguito della Finanziaria 2008, che ha disposto che per gli atti di cessione formati prima del 4 luglio 2006 le presunzioni "da valore normale" devono intendersi come semplici e non legali, su tale questione non ci dovrebbero essere dubbi o fraintendimenti, preme appuntare l'attenzione invece sul valore probatorio della presenza di un finanziamento di importo superiore al corrispettivo dichiarato.

In tal caso infatti, perde di importanza il fatto se la presunzione dello scostamento tra valore normale e corrispettivo dichiarato sia o meno una presunzione legale relativa o una presunzione semplice, o se comunque sia una presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità, precisione concordanza.

La presenza di un valore normale del bene ceduto, come risultante dai dati Omi, superiore al corrispettivo dichiarato rappresenterebbe infatti, comunque, solo una conferma dell'altra presunzione (questa senza dubbio legale relativa, se non addirittura, per certi versi, assoluta), quale appunto quella del mutuo acceso a finanziamento della stessa compravendita per un valore superiore a quello dichiarato.

Per determinare il valore normale dei beni, ai fini della presunzione disciplinata dall'articolo 54, comma 3, del Dpr 633/1972, il comma 23-bis dell'articolo 35, Dl 223/2006, prevede infatti che, in caso di trasferimenti immobiliari soggetti a Iva, finanziati mediante mutui fondiari o finanziamenti bancari, il valore normale non possa essere inferiore all'ammontare del mutuo o del finanziamento erogato.

La disposizione, con valore, almeno verso il "basso", di vera e propria presunzione assoluta, intende fissare quindi l'entità minima del valore normale, sotto il quale dunque l'Amministrazione finanziaria non potrà comunque scendere.

Ma anche volendo considerare tale presunzione (da mutuo) legale relativa (e non assoluta) e ammettendo perciò che anche contro il "minimo" valore del finanziamento si possa dimostrare la realtà del prezzo dichiarato, la prova contraria deve però esserci, dovendo il contribuente dimostrare le specifiche circostanze che motivano la maggiore entità del finanziamento concesso rispetto al corrispettivo pattuito.

Come infatti ribadito dalla risoluzione n. 248/E del 17 giugno 2008 (vedi anche la risoluzione n. 122/2007), se il finanziamento non è interamente destinato all'acquisto dell'immobile, il contribuente è ammesso a fornire la prova contraria, innanzitutto specificando nel contratto di mutuo che parte della somma non è destinata a sostenere l'acquisto dell'immobile e poi fornendo comunque prove documentali in ordine alla diversa destinazione della somma finanziata.

In pratica, per concludere, la portata probatoria della disciplina in esame risulta essere la seguente:

se l'acquirente accende un finanziamento superiore al corrispettivo di cessione, fino a concorrenza del medesimo, l'Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento senza nemmeno bisogno di giustificare il percorso valutativo, essendo tale percorso già motivato dalla presunzione legale

se poi l'ufficio va oltre e giustifica anche il proprio precorso valutativo, indicando magari che il valore di mercato dell'immobile, come emergente dai dati Omi, è superiore al corrispettivo dichiarato tra le parti, tale circostanza rappresenterebbe un ulteriore elemento (presunzione semplice, oltretutto, ad avviso di chi scrive, comunque grave, precisa e concordante), che integra e rafforza la predetta presunzione legale relativa, rendendo ancora più difficile l'onere probatorio contrario del contribuente.


Fonte: Agenzia Entrate

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