La cessione gratuita di unità immobiliare operata da una società cooperativa a vantaggio di un Comune non può beneficiare dell'esenzione dall'Iva (prevista dall'articolo 10, n. 12), del Dpr 633/1972) quando il trasferimento viene effettuato non per mero spirito di liberalità, ma per estinguere una precedente obbligazione assunta nei confronti dell'ente locale, inserendosi, pertanto, in un rapporto di natura sinallagmatica. Lo ha precisato l'agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 349/E del 7 agosto 2008.

Il documento di prassi fa seguito fa seguito a un interpello presentato da un Comune, nel quale veniva evidenziato che lo stesso ente locale cedeva, tramite una procedura a evidenza pubblica, un'area aggiudicata successivamente a una società cooperativa. L'area avrebbe dovuto subire dapprima dei lavori di riqualificazione e successivamente sulla stessa si sarebbe realizzato un complesso edilizio avente finalità sia residenziali che commerciali e direzionali.

Nell'ambito delle obbligazioni assunte ed evidenziate nel disciplinare di gara, la società si è impegnata a concedere al Comune, in comodato d'uso, una porzione del fabbricato che sarebbe stato destinato e utilizzato dallo stesso ente come ufficio.

Successivamente la medesima società si è obbligata a tramutare il titolo in base al quale veniva concessa la porzione di immobile da comodato d'uso in un trasferimento del diritto di proprietà, restando in ogni caso la gratuità dell'operazione.

Pertanto, la problematica fiscale posta all'attenzione dell'agenzia delle Entrate si identificava con il trattamento fiscale, agli effetti dell'Iva, da applicare alla cessione gratuità dell'immobile.

Il Comune interpellante riteneva che la cessione gratuita dovesse considerarsi esente dall'Iva, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 10, n. 12), del Dpr 633/1972.

La disposizione prevede l'esenzione dal tributo per le cessioni di beni, di cui all'articolo 2, secondo comma, n. 4), che vengono effettuate a titolo gratuito nei confronti di determinati soggetti, quali gli enti pubblici, le associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica, nonché nei confronti delle Onlus.

Come si evince dal suo tenore letterale, la norma deve essere letta, pertanto, congiuntamente a quella prevista dall'articolo 2, n. 4, del medesimo decreto, in base alla quale sono considerate vere e proprie cessioni quelle operazioni aventi per oggetto beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell'attività propria dell'impresa e ciò indipendentemente dal loro valore e per i quali, di conseguenza, all'atto del loro acquisto o importazione sia stato esercitato il relativo diritto alla detrazione.

Restano, perciò, escluse dall'assimilazione alle cessioni quelle relative ai beni la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa, aventi un valore non superiore 25,82 euro, e quelle relative a beni per i quali non sia stato esercitato il diritto di detrazione dell'imposta assolta sul loro acquisto o importazione.

Pertanto, gli elementi caratterizzanti la richiamata norma di cui all'articolo 2, secondo comma, n. 4) sono essenzialmente:

la gratuità dell'operazione

i beni ceduti debbano rientrare nell'attività propria dell'impresa, a prescindere dal loro valore

Per gratuità deve intendersi che l'operazione deve obbedire a un mero intento di liberalità, non risultando, conseguentemente, vincolata a eventuali impegni nei confronti del cessionario.

In merito al secondo requisito, la circolare n. 25 del 1979 ha precisato cosa si debba intendere per "attività propria dell'impresa"; essa concerne, in particolare, ogni attività ricompresa nell'ordinario campo d'azione dell'impresa e, cioè, nell'oggetto proprio e istituzionale della stessa, a esclusione di quelle attività svolte non in via principale ma in maniera meramente strumentale, accessoria e occasionale.

Per le cessioni gratuite di beni non riconducibili nell'attività propria dell'impresa bisogna distinguere:

quelle che coinvolgono beni di valore inferiore a 25,82 euro non si considerano cessioni di beni per espresso volere del legislatore (trattasi delle spese di rappresentanza per le quali è consentita la detrazione dell'imposta assolta a monte)

le cessioni di beni, anch'esse riconducibili tra le spese di rappresentanza, che invece superano detto valore per le quali, al contrario delle prime, l'articolo 19-bis1, lettera h), del Dpr 633/1972 prevede l'indetraibilità.

Pertanto, per questi ultimi beni le cessioni gratuite non si considerano cessioni per la semplice ragione che risulta indetraibile l'imposta sostenuta all'atto del loro acquisto o importazione.

Nella fattispecie prospettata, occorreva analizzare se la cessione della porzione di immobile effettuata dalla società nei confronti del Comune avesse le caratteristiche tali da poterla ricondurre nel citato articolo 2, n. 4), e, di conseguenza nell'articolo 10, n. 12), se rese nei confronti di determinati soggetti.

Al riguardo, l'Agenzia si è soffermata in particolare sull'aspetto della gratuità.

Con riferimento a tale elemento è stato evidenziato che la società cooperativa nell'aggiudicarsi l'area, o meglio nell'offerta di gara, si è obbligata, tra l'altro, a consegnare dapprima in comodato d'uso e poi successivamente in proprietà la porzione dell'immobile.

Quindi, a parere dell'Amministrazione, sostanzialmente la cessione non rispondeva a un mero intento di liberalità, ma rappresentava piuttosto una modalità di estinzione di una precedente obbligazione assunta dalla medesima società durante la procedura di espletamento della gara pubblica di aggiudicazione.

Quindi, la cessione era riconducibile nell'ambito di un rapporto avente natura sinallagmatica costituitosi tra il Comune (che ha ceduto l'area da qualificare e riconvertire) e la società aggiudicataria (della medesima area e sulla quale doveva realizzare il complesso immobiliare).

In conclusione, l'operazione, non obbedendo a un mero spirito di liberalità, non può configurarsi alla stregua di una cessione gratuita e, conseguentemente, non essendo riconducibile alla disposizione di cui all'articolo 2, secondo comma, n. 4), del Dpr 633/1972, non può nemmeno fruire della disposizione di esenzione di cui all'articolo 10, n. 12.


Fonte: Agenzia Entrate

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