Gli agenti di commercio possono essere considerati soggetti passivi all’imposta regionale sulle attività produttive per il solo fatto di essere titolari di reddito d’impresa oppure è necessario, a tal fine, l'impiego di capitali, beni strumentali e lavoro altrui, tali da integrare il requisito dell’autonoma organizzazione? Saranno le sezioni unite a dipanare la matassa dopo che la Cassazione (ordinanza n. 16888 del 20 giugno 2008), in attesa del chiarimento, ha rinviato a nuovo ruolo una controversia riguardante l’assoggettabilità a Irap di un agente di commercio.

La questione è estremamente dibattuta in dottrina e, in particolare, in giurisprudenza ove si riscontrano orientamenti oscillanti della Suprema corte.

L’ordinanza in commento evidenzia le argomentazioni prodotte dal pubblico ministero a sostegno del rigetto del ricorso presentato dall’agenzia delle Entrate avverso la sfavorevole sentenza di secondo grado. Il pubblico ministero basa le proprie tesi su un filone della recente giurisprudenza di legittimità che sostiene la soggettività passiva ai fini Irap degli agenti di commercio soltanto in presenza di autonoma organizzazione, al pari degli esercenti arti e professioni (per i quali il consolidato orientamento della Suprema corte - dopo il cosiddetto “Irap day” dell’8 febbraio 2007 - ha sancito l’esclusione dall’imposta in difetto del requisito dell’autonoma organizzazione).

In particolare, il pubblico ministero evidenzia che, mentre ai fini della determinazione del reddito d’impresa non sarebbe necessaria per espressa previsione normativa l’autonoma organizzazione (attività indicate nell’articolo 2195 del Codice civile, anche se non organizzate in forma d’impresa), per la soggettività passiva ai fini Irap, per effetto del combinato disposto degli articoli 2 e 3, comma 1, lettera b), del decreto Irap, andrebbe in ogni caso verificata la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione.

La tesi troverebbe fondamento, come detto, in alcune pronunce della Cassazione (sentenze 7703, 7707 e 7734 del 2008) le quali hanno affermato che la prova dell’esistenza di un’autonoma organizzazione deve essere offerta dagli uffici anche nei confronti di un agente di commercio, trattandosi di una figura “di discussa qualificazione giuridica, sembra subire la conformazione del concreto atteggiarsi dell’attività, tra i poli estremi di quella autonoma e di quella dell’impresa”.

Per contro, come già ricordato nella recente circolare dell’agenzia delle Entrate 45/E del 13 giugno scorso, vi sono altre numerose pronunce della medesima Suprema corte che considerano insita l’autonoma organizzazione nella figura degli agenti e rappresentanti di commercio.

Si fa riferimento, in particolare, alla sentenza 3678 del 16 febbraio 2007, secondo cui “la giurisprudenza elaborata negli ultimi anni dai giudici di secondo grado ha determinato una drastica contrazione dell’area di inapplicabilità dell’Irap nei primi tempi estesa dalle giurisdizioni di primo grado anche a categorie ontologicamente estranee a quelle di lavoro autonomo, uniche incise dal dictum della Consulta, quali gli agenti di commercio (rientranti nel paradigma dell’art. 2195 del codice civile richiamato dall’art. 51 del Tuir) e le società di persone minime coinvolti nella diversa vicenda inerente all’Ilor”.

Allo stesso modo, nella sentenza 7899 del 30 marzo 2007 si legge che è “pacifico che i redditi derivanti dallo svolgimento dell’attività di agente o rappresentante di commercio, riferendosi ad un’attività commerciale secondo la previsione dell’art. 2195 c.c., sono per questa sola circostanza qualificabili come redditi di impresa”.

Peraltro, come già evidenziato dalla citata circolare 45/2008, anche sotto il profilo squisitamente “civilistico”, la Cassazione ha più volte assimilato l’agente di commercio all’imprenditore commerciale di cui all’articolo 2195 del Codice civile, escludendo che il soggetto in questione potesse esercitare un’attività di lavoro autonomo.

In particolare, la prima sezione civile, con la pronuncia 9102/2003, ha affermato che gli elementi identificativi dell’impresa commerciale, ai sensi dell’articolo 2082 del Codice civile, sono la professionalità e l’organizzazione, “intese come svolgimento abituale e continuo dell’attività e sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali, al di là della scarsezza dei beni predisposti, tanto più quando l’attività, come quella dell’agente di commercio, non necessiti di mezzi materiali e personali rilevanti (Cass. 5589/1983; 6395/1981; 6151/1978)”.

Sulla base di questi pronunciamenti discordanti, pur essendo le conclusioni del pubblico ministero protese verso il rigetto del ricorso dell’Amministrazione finanziaria, il collegio giudicante ha preferito sospendere il giudizio in attesa che le sezioni unite si pronuncino sulla delicata questione.

A questo punto è ipotizzabile, per quanto riguarda le controversie che riguardano la soggettività passiva ai fini Irap degli agenti di commercio, che non solo i giudizi incardinati presso la Suprema corte ma anche quelli pendenti innanzi le Commissioni tributarie possano essere sospesi in attesa della pronuncia a sezioni unite.


Fonte: Agenzia Entrate

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