La prova della fittizietà dei lavori di ristrutturazione edilizia e, di conseguenza, dei relativi costi portati in deduzione, può essere fornita con presunzioni che abbiano il carattere delle gravità della precisione e della concordanza.

Questo, in estrema sintesi, è quanto affermato dai giudici della Ctr di Firenze con la sentenza 42/30/07, depositata il 31 gennaio 2008. La controversia derivava da una verifica della Guardia di finanza, in cui era stato contestato che un contribuente, svolgente un'attività nel settore turistico-alberghiero:

sotto il profilo attivo, tramite l'elaborazione di questionari ai clienti, aveva omesso di fatturare parte dei ricavi conseguiti

sotto il profilo passivo, aveva portato in deduzione costi derivanti da lavori di ristrutturazione, risultati mai eseguiti sull'immobile condotto in locazione per lo svolgimento della predetta attività.

L'avviso di accertamento veniva impugnato dal ricorrente, lamentando che, relativamente alle poste attive del recupero, l'omessa fatturazione contestata era irrisoria rispetto al volume d'affari dell'anno. Relativamente ai costi indeducibili, poi, veniva denunciata l'assenza di prova, "non fornita" dall'Amministrazione, della falsità dei documenti giustificativi; a tal proposito, si ricordava come fosse inammissibile nel processo tributario la dichiarazione del proprietario dell'immobile circa l'inesistenza dei lavori de quibus.

L'Agenzia, nel costituirsi in giudizio, aveva eccepito che era più che legittimo il recupero effettuato in base alle risposte ai questionari e che i costi di ristrutturazione andavano disconosciuti in base a tutta una serie di fatti:

dall'Anagrafe tributaria risultava che le ditte esecutrici dei lavori erano evasori totali

il contratto di locazione prevedeva l'acquisizione del consenso scritto del locatore per eventuali modifiche o innovazioni sul bene

la proprietaria dell'immobile aveva dichiarato che all'atto della restituzione del bene stesso non aveva rilevato alcuna ristrutturazione.

Il ricorso in primo grado veniva accolto limitatamente alla questione dei costi indeducibili, in quanto non era stata fornita la prova dell'inesistenza dei lavori.

Le Entrate impugnavano in appello il capo di propria soccombenza, evidenziando come i primi giudici avessero errato nel ritenere che gli elementi offerti non erano idonei a fondare il recupero dei costi; il contribuente, invece, non si costituiva in giudizio, prestando, quindi, acquiescenza alla parte di sentenza sfavorevole.

Il collegio fiorentino, con la sentenza in commento, ha preliminarmente ammesso al giudizio la dichiarazione del proprietario rilevando che "in quanto raccolta nella fase procedimentale e resa da un soggetto estraneo al rapporto contribuente-erario, è utilizzabile ai fini della decisione anche se assume il valore probatorio proprio degli elementi e necessita del supporto di altri riscontri".

Inoltre, in ossequio all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (citando le sentenze della Cassazione 416/2001 e 3646/2004), rilevando che le presunzioni possono assurgere a mezzi di prova quando hanno i requisiti della gravità (alta probabilità del fatto desunto), precisione (determinatezza dei fatti noti) e concordanza (convergenza di tutti i fatti noti verso la dimostrazione del fatto desunto), la Commissione ha evidenziato che tali condizioni erano presenti nel caso dedotto in giudizio.

In dettaglio, in base alla regola di giudizio adottata, con motivazione ineccepibile, è stato affermato che "il concorso degli elementi presuntivi sopra riferiti (dichiarazione del proprietario, interrogazione anagrafe tributaria, etc.), tutti ben determinati nella loro realtà storica, uniti alle circostanze che le fatture prodotte sono estremamente generiche senza il minimo riferimento alla natura e qualità dei lavori che, stante l'importo, avrebbero dovuto comportare delle modifiche nei locali immediatamente individuabili, e che i pagamenti sono stati indicati come avvenuti in contanti nonostante si tratti di cifre abbastanza consistenti senza corrispondenti movimenti bancari, portano a ritenere certa la circostanza che nessun lavoro edile è stato seguito nei locali durante la conduzione …(del contribuente), il quale neppure nel ricorso introduttivo ha specificato in cosa consistessero tali lavori e la loro necessità".

Commento

La sentenza in esame è interessante sotto l'aspetto della prova che deve essere fornita da parte dell'Amministrazione per dimostrare che un'operazione inserita in contabilità sia in realtà inesistente. I giudici hanno fatto, in primo luogo, buon governo dei principi emersi in sede di giurisprudenza di legittimità. Infatti, la Suprema corte ha evidenziato, sempre in tema di operazioni inesistenti, che "i fatti costitutivi della pretesa tributaria possono essere inseriti dall'amministrazione Finanziaria in base a presunzioni semplici, che possono, pure, nella fase contenziosa, costituire prova della relativa fondatezza, e che, a fronte di una tale prova presuntiva offerta dall'Ufficio, incombe sul contribuente l'onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa" (Cassazione, sentenza 8959/2003).

Ancora, in un altro caso simile, dove si discuteva di come andasse ripartito l'onere probatorio, la Suprema corte ha specificato che "l'onere di provare la veridicità delle fatture, per il contribuente, scatta soltanto quando gli organi di controllo fiscale adducono elementi che fanno almeno sospettare della non veridicità delle fatture" (sentenza 17799/2007).

Significativa è per la fattispecie in esame, infine, la sentenza della Cassazione 18710/2005, la quale ha accolto il ricorso delle Entrate, ritenendo errata una pronuncia di secondo grado per i cui giudici estensori spettava all'Agenzia la prova sull'inidoneità di un immobile all'effettuazione di determinati lavori edili, ritenuti per tale ragione inesistenti.


Fonte: Paolo Napolitano Agenzia Entrate

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