L'imprenditore è tenuto al pagamento della Tarsu per aver prodotto nel territorio comunale rifiuti speciali (materiale d'imballaggio), assimilati a quelli urbani con un'apposita delibera comunale, a meno che non provi e documenti le condizioni per ottenere l'esenzione dall'imposizione.

E' quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 27057 del 21 dicembre 2007.

Il contribuente aveva proposto ricorso, rigettato dai giudici di primo grado, avverso la cartella di pagamento, sostenendo che l'area occupata non era soggetta a imposizione, non solo in quanto i rifiuti speciali prodotti non potevano essere assimilati agli urbani, ma anche perché egli stesso aveva provveduto a smaltirli tramite ditte private esterne, invece che deporli nei contenitori pubblici. Proprio partendo da tale considerazione, la Commissione tributaria regionale accoglieva parzialmente l'appello, riconoscendo all'imprenditore una riduzione tariffaria del 20 per cento.

Il contribuente presentava ricorso per cassazione, deducendo che, in mancanza di un'apposita delibera comunale, il materiale d'imballaggio non poteva ritenersi assimilabile ai rifiuti urbani, e, pertanto, doveva essere riconosciuta l'esenzione impositiva e non la sola riduzione.

Prima di esaminare la sentenza, è opportuno precisare che originariamente la materia relativa alla Tarsu aveva trovato regolamentazione nelle disposizioni del Dpr 915/1982.

Per quanto rileva in questa sede, si rammenta che il citato decreto, nel classificare i rifiuti in urbani, speciali, tossici e nocivi, stabiliva che allo smaltimento dei rifiuti speciali dovessero provvedere gli stessi produttori dei rifiuti, direttamente, attraverso imprese e enti autorizzati, o mediante conferimento ai soggetti che gestivano il servizio pubblico, con i quali fosse stata stipulata apposita convenzione.

Allo Stato era riservata la competenza a fissare i criteri generali per l'assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, affidandone le funzioni ad apposito Comitato interministeriale. Questo organismo, con deliberazione del 27/7/1984, indicò, fra l'altro, al punto 1.1.1. lettera a), i rifiuti speciali che, per la composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o perché costituiti da manufatti e materiali simili a quelli indicati, a titolo esemplificativo, in apposito elenco, potevano essere smaltiti negli impianti di discarica dei rifiuti urbani, includendo in detto elenco, proprio gli "imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili" e demandando ai regolamenti comunali, previsti dall'articolo 8 del Dpr 915/1982, la disciplina dell'assimilabilità.

Il Dlgs 507/1993, sostanzialmente, confermò il regime delineato dal Dpr 915/1982 e definito dalla descritta delibera del Comitato interministeriale, confermando la facoltà dei Comuni di equiparare ai rifiuti urbani quelli derivanti dall'esercizio di attività commerciali, artigianali e di servizi, nel rispetto dei criteri fissati dalla precedente normativa.

Con l'articolo 39 della legge 146/1994, poi, il legislatore ritenne, nell'esercizio dei poteri riservati, di dovere effettuare una scelta radicale e di indirizzo, sottesa a una applicazione uniforme della normativa su tutto il territorio nazionale. Venne così disposta l'assimilazione per legge ai rifiuti urbani dei "rifiuti speciali indicati al n. 1, punto 1.1.1, lettera a), della deliberazione del 27.07.1984, del Comitato Interministeriale di cui all'art. 5, del DPR n. 915/1982", prevedendo "per la gestione dei rifiuti non rientranti nella categoria di cui al comma 1, che i comuni possono istituire servizi pubblici integrativi, i cui costi sono a carico di ciascun detentore dei rifiuti che li conferisce e sono determinati sulla base di apposite convenzioni" e che "qualora il Comune istituisca tali servizi pubblici integrativi, i detentori sono tenuti a conferire i rifiuti al soggetto che gestisce detti sevizi, salvi i casi di autosmaltimento e di conferimento a terzi autorizzati ai sensi delle vigenti disposizioni".

Da ciò deriva che tutti i rifiuti speciali, sia quelli specificatamente elencati alla lettera a) del punto 1.1.1. della delibera del Comitato interministeriale sopra citata, sia gli altri equiparabili per composizione merceologica e caratteristiche similari, a esclusione solo dei rifiuti tossici, nocivi e ospedalieri, venivano assimilati, per legge, ai rifiuti urbani e, quindi, non era più nelle facoltà dei Comuni esercitare il potere di valutare e disporre l'assimilazione.

Tale regime è mutato in seguito all'entrata in vigore del Dlgs 22/1997 e dell'articolo 17 della legge 128/1998.

Il decreto legislativo in questione ha, infatti, ridisciplinato la materia e, dopo avere distinto i rifiuti in urbani, speciali e pericolosi, ha disposto che si considerano urbani, oltre ai rifiuti provenienti da locali e luoghi adibiti a uso civile abitazione (lettera a), anche "i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti a usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'art. 21, comma 2, lettera g)", ripristinando il potere di assimilazione dei Comuni, da esercitarsi nel rispetto dei criteri fissati dallo Stato.

Inoltre, l'articolo 17 della legge 128/1998 ha espressamente abrogato l'articolo 39 della legge 146/1994, facendo venir meno l'assimilazione ope legis dei rifiuti, così come ivi prevista, rendendo necessaria allo scopo l'espressa manifestazione di volontà dei comuni.

Dall'insieme delle disposizioni citate deriva che, a decorrere dall'entrata in vigore della legge 128/1998, mentre da una parte nessuno dei rifiuti speciali poteva essere più considerato assimilato per legge a quelli urbani, dall'altra tutti i rifiuti speciali potevano essere assimilati agli urbani in base a previsione regolamentare dei Comuni, anche se di origine industriale, artigianale, commerciale o connessi a servizi; il potere di assimilazione restava, dunque, escluso solo per i rifiuti pericolosi.

Fatta questa necessaria premessa, la Corte di cassazione, con la sentenza in esame, ha rigettato il ricorso presentato dall'imprenditore, affermando che la tesi da lui sostenuta, secondo cui (vigente il Dlgs 22/1997) non era più ammesso che i rifiuti speciali (materiale d'imballaggio) potessero essere assimilati agli urbani, doveva ritenersi priva di fondamento, in quanto "proprio sulla base delle disposizioni introdotte dal D.lgs. 22/1997, tutti i rifiuti speciali, nessuno escluso, ed anche gli stessi rifiuti industriali, in presenza di determinate caratteristiche, erano suscettibili di assimilazione, con la sola esenzione dei rifiuti pericolosi".

Peraltro, nel caso di specie, il Comune, in base all'articolo 21 del Dlgs 22/1997, aveva assimilato ai rifiuti urbani quelli speciali con apposita delibera.

Detta assimilazione, pertanto, costituiva titolo per la riscossione della tassa nei confronti dell'imprenditore che aveva prodotto rifiuti nel territorio comunale, a prescindere dal fatto che lo stesso ne avesse affidato a terzi lo smaltimento (cfr Cassazione, sentenze n. 17932/2004 e n. 5257/2004).

I giudici di legittimità hanno, altresì, precisato che il legislatore, nel disporre che la tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani è dovuta per ogni superficie occupata nel territorio comunale, ha introdotto un principio generale al quale ha opposto delle eccezioni specifiche, individuando talune superfici che non possono essere assoggettate al tributo a causa delle proprie caratteristiche.

Dette eccezioni, previste dalla legge, sono, però, vincolate dalla prova delle circostanze oggettive o soggettive di esclusione; prova che deve essere fornita dal soggetto che ritenga di avere diritto all'esenzione (cfr Cassazione nn. 17703/2004, 15867/2004).

In buona sostanza, il contribuente, al fine di ottenere l'esclusione dal pagamento del tributo, deve provare non solo la stabile destinazione dell'area a un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta la produzione di rifiuti.

Infatti, ha proseguito la Cassazione, poiché, ai sensi dell'articolo 62 del Dlgs 507/1993, presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani è l'occupazione o la detenzione dei locali e aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, "l'esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate per i rifiuti speciali, come pure l'esclusione di parti di aree perché inidonee alla produzione di rifiuti, sono subordinate alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell'esclusione o dell'esenzione".

In conclusione, ad avviso della Corte, in mancanza di prova contraria fornita dal contribuente, dovevano essere conteggiate nella superficie imponibile quelle aree in cui erano stati prodotti i rifiuti speciali assimilabili agli urbani, giusta delibera comunale.

Conseguentemente, il ricorrente era tenuto al pagamento della Tarsu nonostante avesse deciso, per propria scelta, di smaltire i rifiuti prodotti, nella specie gli "imballaggi", tramite ditte esterne che ne avevano curato la raccolta e il riciclaggio.

Fonte: Agenzia Entrate - Francesca La Face

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