1 INCENTIVI PER LE RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE E PER GLI INTER VENTI FINALIZZATI AL RISPARMIO ENERGETICO

1.1 Aliquota Iva 10 per cento sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie

D. L’applicazione dell’aliquota ridotta è subordinata al fatto che il costo della manodopera sia esposto in fattura o tale requisito è da rispettare solo per il caso si intenda beneficiare della detrazione del 36% o del 55% ?

R. L’articolo 1, comma 18, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha prorogato, per le annualità 2008, 2009 e 2010, l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 10 per cento alle prestazioni di servizi aventi ad oggetto gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 31, primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n. 457, realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata.

Ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in esame non è più richiesto, diversamente da quanto stabilito per le operazioni effettuate nel periodo di imposta 2007, che il costo della relativa manodopera sia evidenziato in fattura.

L’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 10 per cento, relativamente alle prestazioni di servizi aventi ad oggetto interventi di recupero del patrimonio edilizio, prescinde quindi dall’indicazione in fattura del costo della manodopera che, invece, si rende necessaria, anche in relazione agli interventi effettuati nel periodo 2008/20 10, per il riconoscimento della detrazione d’imposta del 36% delle spese riguardanti le seguenti opere edili:

-       interventi di recupero del patrimonio edilizio, disciplinati all’articolo 2, comma 5, della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 e successive modificazioni;

-       interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia operati da imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che provvedono alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile, di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 488 nel testo vigente al 31 dicembre 2010.

Per questi interventi, infatti, l’obbligatorietà dell’indicazione in fattura del costo della manodopera è disposta espressamente dall’articolo 1, comma 19, della citata legge n. 244 del 2007.

1.2 Detrazione per il risparmio energetico (c.d. 55 per cento) - Rateazione

D. Il beneficio della rateazione da 3 a 10 anni può essere utilizzato anche da chi ha effettuato le spese nel 2007 ?

R. La legge 27 dicembre 2006, n. 296 - legge finanziaria 2007 - all’articolo 1 commi 344, 345, 346 e 347 ha introdotto la detrazione del 55 per cento della spesa per gli interventi finalizzati al risparmio energetico su edifici esistenti. La medesima legge ha disposto il riparto obbligatorio della detrazione in un numero di tre quote annuali di pari importo.

L’articolo 1 comma 20, lett. b), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha, invece, previsto che in relazione alla predetta detrazione, il beneficio possa essere ripartito in un numero di quote annuali, di pari importo, compreso tra tre e dieci, a scelta irrevocabile del contribuente, operata all’atto della prima detrazione.

Ad avviso della scrivente, la possibilità di rateizzare la detrazione per un periodo superiore al triennio, prevista dalla legge finanziaria 2008 ha efficacia a far data dal 1° gennaio 2008 e non è suscettibile di una applicazione retroattiva.

Ciò in quanto, in relazione alle detrazioni per interventi di risparmio energetico, l’efficacia retroattiva è stata espressamente disposta dal legislatore, al comma 23 dell’articolo 1 della citata legge n. 244 del 2007, solo relativamente alla nuova Tabella di valori energetici, che va a sostituire quella allegata alla legge finanziaria 2007.

In assenza di una analoga previsione riferita alle altre novità introdotte alla normativa sulla detrazione per il risparmio energetico, tra cui va ricompresa la diversa modalità di riparto delle spese, si deve ritenere che, in relazione alle spese sostenute nel 2007 per gli interventi agevolativi, finalizzati al risparmio energetico, la detrazione debba essere ripartita necessariamente in tre rate annuali.

1.3 Detrazione per il risparmio energetico (c.d. 55 per cento) - Esonero dall’a.q.e./a.c. e

D. L’esonero dalla redazione dell’attestato di qualificazione energetica (a.q.e.) o dell’attestato di certificazione energetica (a.c.e.) per la sostituzione di finestre comprensive di infissi in sin gole unità immobiliari e per l'installazione di pannelli solari, vale anche a chi ha effettuato questi interventi nel 2007 ?

R. Il comma 24, lett. c), dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha soppresso l’obbligo, previsto dal comma 348, lett. b), dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, di far redigere, a cura di un professionista abilitato, l’attestato di certificazione, o di qualificazione, energetica, limitatamente agli interventi di :

-       sostituzione di finestre, comprensive di infissi, in singole unità immobiliari;

-       installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in qualsivoglia struttura, pubblica o privata.

La disposizione si rende efficace a far data dal 1° gennaio 2008. Pertanto non può essere applicata in relazione alle spese per gli interventi sopra indicati, sostenute nel periodo di imposta 2007.

Alla disposizione in esame, infatti, non è stata attribuita dal legislatore una espressa efficacia retroattiva, diversamente da quanto previsto per la nuova Tabella di valori energetici, di cui al comma 23 dell’articolo 1 della citata legge n. 244 del 2007, che va a sostituire quella allegata alla legge finanziaria 2007.

 

2 L’ESTROMISSIONE DEI BENI DELL’IMPRENDITORE INDIVIDUALE

2.1 Estromissione dell’immobile strumentale

D. Per la determinazione del valore normale dell’immobile strumentale dell’imprenditore individuale ai sensi dell’articolo 1, comma 37, della legge n. 244/0 7 si chiede se i moltiplicatori della rendita catastale siano i seguenti:

1)      fabbricati di categoria “A10” e “D” coefficiente 52,5

2)      fabbricati di categoria “C1” coefficiente 37,5

3)      altri fabbricati coefficiente 105.

Oppure se devono essere maggiorati con la percentuale del 20 per cento di cui al D.L. n. 1 68/2004 e per quelli di categoria “B” del 40 per cento ai sensi dell’articolo 2, comma 45, del D.L. n. 262/06 che però hanno effetto ai soli fini dell’imposta di registro

R. Si ritiene che – ai fini della determinazione del valore normale – le rendite catastali debbano essere rivalutate ai sensi della legge n. 662 del 1996 ed, altresì, maggiorate con le percentuali (rispettivamente del 40 per cento per gli immobili di categoria B e del 20 per cento per gli altri immobili) previste dai decreti legge n. 262 del 2006 e 168 del 2004.

 

3 DETERMINAZIONE DEI REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA

3.1 Determinazione del costo della partecipazione in caso di successione – quesito 1

D. A seguito della introduzione dell’imposta di successione per effetto del D.L. n. 262/06, ai fini della determinazione del costo della partecipazione per il calcolo del capital gain si assume il valore dichiarato agli effetti di tale imposta (articolo 68, comma 6, del Tuir). Si ritiene – come precisato dalla risoluzione 120/E del 2001 – che tale procedura sia legittima anche in caso di non assolvimento dell ’imposta di successione per effetto della franchigia (articolo 2, comma 48, D.L. n. 2 62/06), mentre per i trasferimenti non soggetti a imposta di cui all’articolo 3, comma 4-ter del D.Lgs. 346/1990, si assume il valore normale alla data di apertura della successione. Si chiede conferma.

R. Con la citata risoluzione n. 120/E del 2001 è stato ribadito che in presenza di titoli che siano stati dichiarati ai fini dell’imposta sulle successioni, ancorché la stessa non sia dovuta in quanto la quota spettante a ciascun beneficiario non supera gli importi minimi previsti per l’applicazione della stessa, si debba assumere quale costo di acquisto quello dichiarato o definito ai fini dell’imposta sulle successioni.

Nel caso invece di trasferimenti di titoli esenti dall’imposta sulle successioni, si conferma che si assume come costo il valore normale dei titoli alla data di apertura della successione.

 

3.2 Determinazione del costo della partecipazione in caso di successione – quesito 2

D. Ai fini dell’imposta di successione la valutazione per i titoli non quotati e le partecipazioni non azionarie viene fatta in base alla frazione del patrimonio risultante dall’ultimo bilancio pubblicato (se la società è tenuta a tale obbligo) oppure dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato (articolo 16 del D.Lgs. 346 del 1990). Inoltre, in base all’articolo 8, comma 1 bis, del D.Lgs. 346/1990, resta comunque ferma l'esclusione dell'avviamento nella determinazione della base imponibile delle aziende, delle azioni, delle quote sociali.

I valori di cui sopra potrebbero essere inferiori al costo fiscale in capo al de cuius, in quanto ai fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 68, comma 6 del TUIR, è previsto che il costo delle partecipazioni, in caso di acquisto per successione, sia pari al valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione.

È corretto ritenere che il disposto dell’articolo 68 del Testo unico debba essere interpretato nel senso di utilizzare – come costo rilevante ai fini della determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria – quello sostenuto del de cuius o quello rideterminato dal de cuius in sede di affrancamento delle partecipazioni se maggiore di quello rilevante ai fini dell’imposta di successione?

Se non è corretto, qualora il contribuente dichiari ai fini dell’imposta di successione il maggiore fra il costo fiscale di cui sopra e quello determinato ai sensi dell’articolo 16 del D.Lgs. 346, questo valore può essere considerato come costo fiscalmente riconosciuto per gli eredi?

R. Con l’articolo 2, comma 46, del decreto-legge 2 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 è stata istituita l’imposta sulle successioni e donazioni. Tale imposta è regolata per espressa previsione normativa “secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.

L’articolo 16, comma 1, lettera b), del predetto D.Lgs. n. 346 del 1990, dispone che la base imponibile ai fini della determinazione dell’imposta di successione è determinata assumendo “per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotati in borsa, né negoziati al mercato ristretto, nonché per le quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall'ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all'ente o alla società al netto delle passività risultanti a norma degli articoli da 21 a 23”.

Con riguardo alla determinazione delle imposte da applicare alle plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e c-ter), comma 1, dell’articolo 67 del TUIR, l’articolo 68, comma 6, dello stesso testo unico. prevede che “nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché per i titoli esenti da tale imposta il valore normale alla data di successione”.

Pertanto, appare chiaro che, con l’introduzione dell’imposta di successione, per quanto concerne la valutazione del costo di carico per l’erede dei titoli compresi nella successione, si torna sostanzialmente alla situazione precedente la legge 18 ottobre 2001, n. 383, che aveva soppresso l’imposta di successione precedentemente vigente.

Conseguentemente, non trovano più applicazione le indicazioni fornite con la circolare 19 ottobre 2001, n. 91/E, in base alla quale, in assenza di dichiarazione di successione occorreva assumere ai fini dell’articolo 68 del TUIR il costo sostenuto dal de cuius.

Appare chiaro che, stante l’attuale quadro normativo in materia, contrariamente a quanto prospettato dal richiedente, non vi è nel caso di successioni aperte dal 3 ottobre 2006, vale a dire dalla data di entrata in vigore del d.l. 262 del 2006, la possibilità di optare tra il costo sostenuto dal de cuius (o in alternativa, il valore da questi rivalutato,) e il valore definito o dichiarato ai fini dell’imposta successoria.

In tal caso, ai fini della determinazione delle plusvalenze imponibili ai sensi dell’articolo 67 del TUIR, infatti, occorre far riferimento, salvo rettifica da parte dell’ufficio, al valore delle partecipazioni determinato e, quindi, indicato nella dichiarazione di successione, secondo le modalità dettate dal citato articolo 16 del D.Lgs. n. 346 del 1990.

Le disposizioni del citato articolo 16 acquistano preponderante rilevanza e devono essere osservate in sede di dichiarazione anche in presenza di franchigie che possano annullare o ridurre l’imponibile.

Al valore normale delle partecipazioni occorre, invece, fare diretto riferimento nell’eventualità che le stesse siano esentate dall’imposta di successione ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter, del TUS.

3.3 Cessione di una partecipazione detenuta in parte in piena proprietà ed in parte in nuda proprietà.

D. Una persona fisica risulta proprietaria, non in regime di impresa, di una partecipazione al cap itale di una società per azioni non quotata, così composta:

-       piena proprietà del 20 per cento delle azioni;

-       nuda proprietà del 5 per cento delle azioni, con diritto di usufrutto vitalizio con diritto di voto a favore del genitore.

Si chiede di conoscere quale sia il corretto trattamento fiscale, ai sensi dell’articolo 67 del TUIR, applicabile alla plusvalenza derivante in caso di cessione a titolo oneroso dell’intera partecipazione detenuta (sia in piena proprietà che in nuda proprietà); in particolare, si chiede di conoscere se la partecipazione ceduta debba essere considerata “qualificata” o “non qualificata” ai sensi di quanto previsto dall’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR.

R. Si ritiene che la partecipazione ceduta debba essere considerata “qualificata” ai sensi di quanto previsto dall’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR; ciò in quanto nel caso di cessione congiunta di partecipazioni detenuta da un medesimo soggetto, di cui parte in piena proprietà e parte in nuda proprietà, tali partecipazioni devono essere considerate cumulativamente ai fini del superamento della soglia del 20 per cento oltre la quale le partecipazioni cedute si considerano “qualificate”.

Come chiarito, infatti, con circolare del 24 giugno 1998, n. 165, paragrafo 2.2.1, nel caso di cessione di usufrutto o della nuda proprietà la percentuale di capitale sociale rappresentata dalla partecipazione ceduta va calcolata con riferimento alla parte del valore nominale delle partecipazioni corrispondente al rapporto tra il valore dell’usufrutto o della nuda proprietà ed il valore della piena proprietà. Il valore dell’usufrutto e della nuda proprietà si determinano secondo i criteri indicati dagli articoli 46 e 48 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).

 

4 IL REGIME FISCALE PER I CONTRIBUENTI MINIMI

4.1 Produttore agricolo che svolge anche un’attività professionale o d’impresa con contabilità separata

D. Secondo l’articolo 1, comma 99, della legge finanziaria 2008 non sono considerati contribuenti minimi le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini Iva come, per esempio, coloro che svolgono le attività agricole rientranti nell’articolo 34 del DPR n. 633/72. Si chiede se un produttore agricolo svolge anche una seconda attività professionale o d’impresa gestita obbligatoriamente con contabilità separata, in base all’articolo 36 del DPR n. 633/72, sussistendone gli altri presupposti, per l’attività non agricola può rientrare nel regime dei contribuenti minimi?

R. In considerazione della ratio sottesa all’introduzione del nuovo regime, che è quella di agevolare, sia sotto l’aspetto degli adempimenti che sotto quello del carico fiscale, contribuenti che esercitano attività economicamente marginali, si ritiene che i produttori agricoli, qualora esercitino l’attività agricola nei limiti dell’articolo 32 del TUIR, e dunque tale attività sia produttiva di reddito fondiario e non d’impresa, ancorché assoggettati ai fini IVA al regime speciale di cui all’articolo 34 del d.P.R. n. 633 del 1972, possono avvalersi del regime dei contribuenti minimi con riguardo alle altre attività di impresa arte e professioni eventualmente svolte.

Nella menzionata ipotesi, i contribuenti assolvono agli adempimenti IVA previsti per i produttori agricoli secondo le disposizioni contenute nell’articolo 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 e, ai fini IRPEF, sono tenuti a dichiarare il reddito fondiario mentre, relativamente alla ulteriore attività di impresa o di lavoro autonomo, potranno avvalersi del regime dei contribuenti minimi e assolvere ai relativi adempimenti analiticamente descritti nella circolare n. 73/E del 2007.

Ad esempio, il soggetto che, in aggiunta all’attività agricola assoggettata al regime di cui all’articolo 34, eserciti anche attività di riparazione autoveicoli, potrà avvalersi relativamente a quest’ultima del regime dei contribuenti minimi, qualora ne ricorrano i presupposti.

In nessun caso l’attività agricola, sia essa espressiva di reddito fondiario o di reddito d’impresa, potrà rientrare nel regime dei contribuenti minimi qualora sia assoggettata al regime speciale di cui al più volte citato articolo 34. Resta inteso che le limitazioni conseguenti all’applicazione del regime speciale IVA non operano nell’eventualità che l’attività agricola venga trattata, ai fini IVA, secondo le disposizioni proprie del regime ordinario e non ai sensi dell’articolo 34. In tal caso il contribuente in presenza dei requisiti dovrà applicare (salvo opzione) il regime dei contribuenti minimi per le altre attività di impresa eventualmente esercitate e per la restante attività agricola che ai fini dell’imposta sul reddito esprima reddito d’impresa compresa quella alla quale si applicano le disposizioni dell’articolo 56 bis del TUIR.

Si precisa, inoltre che anche l’attività di agriturismo disciplinata dall’articolo 5, comma 2, della legge 413 del 1991 può essere attratta al regime dei minimi qualora il contribuente opti per l’applicazione dell’Iva nei modi ordinari. In ogni caso l’insieme delle attività assoggettate al regime dei contribuenti minimi dovrà essere valutata unitariamente ai fini della valutazione dei requisiti di accesso previsti al comma 96.

4.2 Limite dei beni strumentali utilizzati: beni a deducibilità limitata

D. Nella circolare 73/E/2007 è stato chiarito che, ai fini del limite di 15.000 euro dei beni strumentali, stabilito dal comma 96, lettera b), dell’articolo 1 della legge finanziaria 2008, i beni promiscui devono essere assunti per il 50 per cento del corrispettivo. Nel caso, invece, di un bene a deducibilità limitata, che viene utilizzato interamente per l’attività imprenditoriale (si pensi a un agente di commercio che ha due autoveicoli, uno dei quali utilizzato esclusivamente per l’attività d’impresa), che valore deve essere assunto ?

R. Come chiarito con la circolare n. 73/E del 2007, paragrafo 2.1, “per esigenze di semplificazione rilevanti anche ai fini del controllo, si ritiene che i beni strumentali solo in parte utilizzati nell’ambito dell’attività di impresa o di lavoro autonomo esprimano un valore pari al 50 per cento dei relativi corrispettivi”.

Si ribadisce, dunque, che ai fini della verifica dei requisiti di accesso al regime i beni strumentali ad uso promiscuo rilevano per il 50 per cento del costo sostenuto, a prescindere da eventuali diverse percentuali di deducibilità contenute nel TUIR

Al riguardo è opportuno precisare che si presumono comunque ad uso promiscuo tutti i beni a deducibilità limitata indicati negli articoli 164 e 102, comma 9, del TUIR (ad esempio autovetture, autocaravan, ciclomotori, motocicli, e telefonia).

4.3 Spese di albergo e ristorante pagate da un professionista

D. Dalla circolare 73/E/2007 e dal decreto attuativo si desume che sia i componenti positivi che quelli negativi devono essere assunti per l’intero corrispettivo incassato o pagato nel periodo. Si conferma, quindi, che, per esempio, le spese di albergo e ristorante pa gate da un professionista che utilizza il regime dei minimi risultano deducibili per intero, e non con i limiti stabiliti dall’articolo 54 del TUIR ?

R. Le regole di determinazione del reddito dei soggetti che rientrano nel regime dei minimi sono dettate dall’articolo 1, comma 104, della legge finanziaria 2008, e pertanto con riferimento a tali soggetti non trovano applicazione le regole ordinarie di determinazione del reddito dettate dal Testo Unico delle Imposte sui redditi.

Le spese di albergo e ristorante, normalmente riferibili alla sfera privata del contribuente, potranno essere portate in deduzione per l’intero importo pagato (a prescindere dalle limitazioni previste dall’articolo 54, comma 5, del TUIR) qualora la stretta inerenza delle stesse all’esercizio dell’attività sia dimostrabile sulla base di criteri oggettivi.

 

5 MODIFICHE ALLA BASE IMPONIBILE IRES

5.1 Estensione delle limitazioni previste per il riporto delle perdite fiscali anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto

D. Il nuovo periodo aggiunto all’articolo 172, comma 7, del TUIR estende l’applicazione delle limitazioni previste per il riporto delle perdite fiscali anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto. Le limitazioni sono il test di vitalità, il limite del patrimonio contabile, la limitazione per svalutazioni dedotte. Si chiede come queste regole, nate appositamente per le perdite, debbano essere applicate al caso degli interessi passivi.

R. L’articolo 1, comma 33, lettera aa) della legge finanziaria 2008 ha introdotto la seguente norma all’articolo 172, comma 7, del TUIR: “Le disposizioni del presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 4 dell’articolo 96”.

Occorre innanzitutto specificare che gli “interessi indeducibili” cui vengono estese le disposizioni limitative dell’articolo 172, comma 7, citato sono quelli di cui all’articolo 96, comma 4, del TUIR, ossia quegli interessi passivi che risultano indeducibili nel periodo d’imposta di contabilizzazione e che potranno essere riportati in avanti e dedotti dal reddito dei successivi periodi d’imposta.

Detti interessi indeducibili, al pari delle perdite fiscali pregresse delle società che partecipano alla fusione (ma la norma riguarda anche le operazioni di scissione per effetto del rinvio che l’articolo 173, comma 10, effettua a favore dell’articolo 172, comma 7), potranno essere riportati in avanti dalla società risultante dalla fusione nei limiti del patrimonio netto contabile, determinato ai sensi del citato articolo 172, comma 7 del TUIR.

Ciò potrà avvenire sempre che le società partecipanti all’operazione di fusione che abbiano una “dote negativa” da riportare siano in possesso dei requisiti di vitalità. Pertanto se non viene superato il c.d. test di vitalità da una società partecipante alla fusione, di tale società non potranno essere riportate né le perdite pregresse né gli interessi indeducibili.

Accertata l’esistenza della condizione di operatività, sarà possibile riportare solo l’ammontare di interessi passivi indeducibili che non eccedono l’ammontare del patrimonio netto contabile. Ovviamente nella determinazione del valore di detto patrimonio netto non si dovrà tenere conto dei conferimenti e dei versamenti effettuati nei ventiquattro mesi anteriori alla data cui è riferita la situazione patrimoniale di cui all’articolo 250 1-quater del codice civile.

Per quanto riguarda la disposizione che limita il riporto di perdite fiscali pregresse fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione effettuata, si osserva che il suo scopo è quello di evitare che la società incorporante possa portare in diminuzione dai propri redditi, successivamente alla fusione, delle perdite che abbiano già concorso a determinare una svalutazione della partecipazione, con conseguente duplicazione degli effetti. Con riferimento agli interessi passivi indeducibili di cui è questione non può verificarsi questa duplicazione di effetti “negativi” dal momento che in vigenza della norma che consentiva la svalutazione delle partecipazioni non era consentito il riporto in avanti degli eventuali interessi passivi indeducibili.

5.2 Deducibilità degli interessi passivi nel consolidato: rilevanza delle partecipazioni estere

D. Con riferimento alla deducibilità degli interessi passivi nel consolidato la norma consente di considerare tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale anche le società estere per le quali ricorrerebbero alcuni requisiti e condizioni. La parola “possono ”, compresa della norma, è da intendersi nel senso di facoltà del contribuente? Inoltre l’inserimento di una società estera in periodo d’imposta che effetti può avere per gli esercizi successivi? In ogni caso sembrerebbe logico pensare che non vi possano mai essere effetti negativi dall’inserimento nel consolidato nazionale di una società estera ai fini della normativa sugli interessi.

R. Il nuovo testo dell’articolo 96, come sostituito dall’articolo 1, comma 33, lettera i), della legge finanziaria 2008, stabilisce al comma 7 che “in caso di partecipazione al consolidato nazionale (…), l'eventuale eccedenza di interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d'imposta, un risultato operativo lordo capiente non integralmente sfruttato per la deduzione” e al successivo comma 8 che “tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale possono essere incluse anche le società estere per le quali ricorrerebbero i requisiti e le condizioni (…)” per esercitare l’opzione per la tassazione di gruppo di cui agli artt. 117 e ss. del TUIR.

In via preliminare, si precisa che il comma 8 ha la finalità di non discriminare l’acquisizione di imprese estere rispetto all’acquisizione di imprese italiane potenzialmente consolidabili.

Dal combinato disposto dei commi sopra citati emerge, in sostanza, che nella determinazione del reddito complessivo globale della fiscal unit è ammessa la possibilità di compensare la quota di interessi passivi netti indeducibili determinatasi in capo ad una società del gruppo (sia consolidante, che consolidata) con la capienza di R.O.L. che residua dopo la compensazione individuale, in capo ad un’altra società del medesimo gruppo consolidato (che, per effetto della previsione del comma 8, può anche essere una società non residente rispetto alla quale siano verificati i requisiti del controllo rilevante per l’accesso al consolidato nazionale, nonché il requisito dell’identità dell’esercizio sociale e della certificazione del bilancio).

Tale modalità di determinazione, stante il dato letterale di entrambe le disposizioni, ha natura facoltativa e non obbligatoria.

L’inclusione “virtuale”, infatti, è sempre facoltativa e non deve essere effettuata necessariamente per gli anni successivi se non lo si ritenga opportuno.

Infine, si osserva che il comma 8 trovi applicazione esclusivamente alla eventuale capienza di R.O.L. manifestata (successivamente alla compensazione con gli interessi passivi di competenza) in capo al soggetto non residente e, non anche, all’eccedenza degli interessi passivi che quest’ultimo potrebbe manifestare nell’ipotesi opposta di in capienza del proprio R.O.L.. La società controllata estera (virtualmente inclusa nel consolidato nazionale al limitato fine della gestione a livello di gruppo della disciplina dell’articolo 96 del TUIR) può, in altri termini, apportare alla fiscal unit esclusivamente la propria eccedenza di R.O.L.. Qualora, infatti, si ammettesse la trasferibilità al consolidato da parte del soggetto estero della relativa quota di interessi passivi netti eccedenti, si consentirebbe la deduzione di un componete negativo che ha concorso alla determinazione di un reddito di un soggetto residente all’estero (con ciò violando il principio di tassazione su base territoriale dei soggetti non residenti).

5.3 Deducibilità degli interessi passivi nel consolidato: trattamento fiscale di eventuali remunerazioni per il trasferimento infragruppo delle eccedenze di ROL

D. La remunerazione che la società consolidata con eccedenza di ROL potrebbe ricevere alla società con ROL deficitario per consentirle la deduzione degli interessi passivi beneficia della non tassabilità di cui all’articolo 118, comma 4, del Testo unico?

R. In base al nuovo articolo 96 (commi 7 e 8), come sostituito dall’articolo 1, comma 33, lettera i), della legge finanziaria 2008, nella determinazione del “reddito complessivo globale” della fiscal unit è ammessa la possibilità di compensare la quota di interessi passivi netti indeducibili determinatasi in capo ad un soggetto partecipante al regime di tassazione di gruppo con la capienza di R.O.L., che residua dopo la compensazione individuale, in capo ad un’altra società del medesimo gruppo.

Sebbene la legge finanziaria 2008 abbia modificato l’articolo 122 del TUIR eliminando le rettifiche di consolidamento ivi contemplate, le menzionate disposizioni in materia di deducibilità di interessi passivi specificamente previste dall’articolo 96 del TUIR relativamente a soggetti partecipanti al consolidato nazionale, hanno l’effetto di consentire alla fiscal unit di godere di un beneficio fiscale (in termini di abbattimento del “reddito complessivo di gruppo”) assimilabile a quello generato, in passato, dalle predette rettifiche di consolidamento.

Conseguentemente, se gli accordi di consolidamento (rinegoziati per tenere conto delle modifiche normative in esame) stabiliscano una remunerazione del vantaggio fiscale apportato alla fiscal unit dal soggetto partecipante al regime titolare del R.O.L. capiente (utilizzato per permettere la deducibilità di interessi passivi fiscalmente irrilevanti, a livello individuale, in conseguenza della disciplina di cui all’articolo 96), le somme versate in contropartita ricadranno nella disposizione di irrilevanza fiscale di cui all’articolo 118, comma 4, del TUIR.

Al riguardo si precisa che, coerentemente con quanto affermato nella circolare 20 dicembre 2004, n. 53/E (par. 4.2.5) l’esclusione delle somme in questione dal concorso alla formazione dell’imponibile individuale del soggetto che ha trasferito il proprio R.O.L. capiente (individualmente inutilizzato) opererà fino a concorrenza dell’IRES teorica cui le stesse somme siano commisurate (calcolata, nel caso di specie, sulla riduzione dell’imponibile complessivo di gruppo che l’utilizzo del predetto R.O.L. capiente consente di conseguire).

 

5.4 Applicazione delle percentuali di deduzione del costo dei veicoli stabilite dal decreto-legge n. 81 del 2007

D. Si chiede di sapere se le nuove percentuali di deduzione del costo dei veicoli stabilite dall’articolo 15-bis del decreto-legge n. 81 del 2007:

- debbano essere applicate con riferimento ad ogni sin gola quota di ammortamento calcolata considerando il costo complessivo del veicolo, a prescindere dalla percentuale di costo complessivamente dedotta, conformemente a quanto precisato dalla Circolare del 10 febbraio 1998, n. 48/E a commento dell’articolo 121-bis del TUIR (attuale articolo 164 TUIR);

oppure se,

- debbano essere applicate con riferimento alla quota di ammortamento dell’anno, fino al raggiungimento della nuova quota complessiva di costo deducibile.

R. I commi da 7 a 10 dell’articolo 15-bis del decreto-legge n. 81 del 2 luglio 2007 hanno apportato sostanziali modifiche alla disciplina della deducibilità delle auto aziendali, già modificata dal decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (c.d. collegato alla legge finanziaria 2007).

Auto aziendali e auto professionali.

Il comma 7 lett. b) del citato articolo 15-bis ha stabilito che, per il periodo d’imposta in corso alla data del 27 giugno 2007, le spese e degli altri componenti negativi relativi alle auto il cui utilizzo è diverso da quello indicato nella lett. a). n. 1 dell’articolo 164 del TUIR sono deducili nella misura del 40 per cento, nei limiti di costo fissati dalla lettera b), comma 1, dell’articolo 164 del TUIR. Si ricorda che per effetto delle modifiche apportate dal decreto collegato alla legge finanziaria 2007 tali spese erano diventate totalmente indeducibili. Per le auto utilizzate dagli esercenti arti e professioni in forma individuale la percentuale di deducibilità viene elevata dal 25 per cento al 40 per cento.

 Prima delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 262 del 2006 la percentuale di deducibilità era del 50 per cento.

Auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti.

Il comma 7 lett. c) del citato articolo 15-bis dispone che per il periodo d’imposta in corso alla data del 27 giugno 2007 le spese e degli altri componenti negativi relativi ai veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo di imposta sono deducibili nella misura del 90 per cento. La norma comporta un sostanziale ritorno al regime precedente le modifiche introdotte dal collegato alla legge finanziaria 2007 nel quale regime era prevista la deduzione integrale dei suddetti costi.

Si ricorda che il decreto-legge n. 262 del 2006 aveva, invece, previsto per i veicoli dati in uso ai dipendenti la deducibilità dei relativi costi nei limiti dell’importo costituente reddito di lavoro dipendente.

Disciplina transitoria

Per il periodo di imposta in corso alla data del 3 ottobre 2006 (periodo di imposta 2006 per i soggetti aventi esercizio sociale coincidente con l’anno solare), il comma 9 dell’articolo 15-bis citato ha introdotto una disciplina transitoria che consente alle imprese e ai professionisti di beneficiare di una maggiore deduzione rispetto a quella prevista dal decreto-legge n. 262 del 2006.

Precisamente, il comma 9 prevede le seguenti percentuali di deducibilità:

-       65 per cento dei costi sostenuti per i veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo di imposta, in luogo della previgente deducibilità del solo importo corrispondente al fringe benefit tassato in capo al dipendente;

-       20 per cento dei costi relativi ai veicoli aziendali non utilizzati esclusivamente come strumentali nell’attività di impresa – sempre nel limite di costo previsto dall’articolo 164 del TUIR - in luogo della totale indeducibiltà;

 - 30 per cento dei costi relativi ai veicoli utilizzati dai professionisti, in luogo del 25 per cento.

Ciò posto, si precisa che i nuovi limiti di deducibilità fissati dalla norme citate non si applicano sul costo deducibile preso a base per determinare l’ammontare degli ammortamenti stanziabili per l’intera vita utile del bene; al contrario essi devono essere applicati esercizio per esercizio sulle singole quote di ammortamento dei beni.

Tale interpretazione è coerente con quanto affermato nella circolare n. 48/E del 10 febbraio 1998, nella quale è stato trattato il caso in cui un’autovettura venga destinata ad uso che comporti il passaggio da una deducibilità integrale ad una deducibilità ridotta al 50 per cento. Il medesimo criterio deve essere adottato anche nell’ipotesi in cui venga modificata la percentuale di deducibilità originariamente prevista, nell’ambito del medesimo utilizzo, per effetto dell’introduzione di una nuova disposizione come quella in esame.

Per maggiore chiarezza, si ipotizzi l’acquisto nel periodo d’imposta 2003 di un’autovettura nuova di costo pari a 18.000 euro il cui utilizzo rientra in una delle fattispecie per le quali trova applicazione il criterio di deduzione indicato nella lett. b) del comma 1 dell’articolo 164 del TUIR.

Nella tabella che segue è illustrato il processo di ammortamento del bene tenendo conto dell’aliquota di ammortamento del 25 per cento prevista dal D.M. 31 dicembre 1988 ridotta alla metà nel primo esercizio.

La quota di ammortamento deducibile per il periodo d’imposta 2006 è pari a 900, determinata applicando la percentuale del 20 per cento alla quota d’ammortamento del periodo (4.500) e per il periodo di imposta 2007 è pari ancora a 900, determinata applicando la percentuale del 40 per cento alla quota d’ammortamento residua del periodo (2.250).

 

Tabella riassuntiva

Anno                                       2003 2004    2005    2006    2007

Ammortamento

(aliquote d.m. 31/12/88)        2250    4500    4500    4500    2250

Amm. deducibile             1125        2250    2250    900     900

Residuo da

ammortizzare                          15750     11250   6750    2250    =

 

6 LE SOCIETÀ DI COMODO E LO SCIOGLIMENTO AGE VOLATO

6.1 Nuovi casi di esclusione: numero soci e partecipazioni di enti pubblici

D. In relazione ai casi di esclusione costituiti dal numero di soci non inferiore a 50 e dalle società partecipate da enti pubblici, con percentuali non inferiori al 20 per cento, si chiede di conoscere quale sia il periodo minimo in cui tali requisiti devono sussistere, nel caso di raggiungimento di tali valori nel corso dell’esercizio. In particolare si chiede se è sufficiente che il requisito si realizzi nell’ultimo giorno dell’esercizio, o se è necessario che sia realizzato per la maggior parte dei giorni del periodo di imposta, o ancora in tutti i giorni in esso compresi.

R. Con riferimento alle cause di esclusione previste dal comma 1, secondo periodo, numeri 6 e 6-quinquies, dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, (come modificato dall’articolo 1, comma 128, della legge n. 244 del 2007) ossia società con numero di soci non inferiore a 50 e società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale, si ritiene che i requisiti richiesti dalla norma per l’esclusione “automatica” dalla disciplina debbano sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta.

Tale interpretazione è conforme a quanto già affermato nella circolare n. 25/E del 4 maggio 2007, paragrafo 2, in relazione alla causa di esclusione prevista all’articolo 30, comma 1, numero 4 della legge n. 724 del 1994, che esclude dall’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sulle c.d. “società di comodo” le società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché le stesse società ed enti quotati e le società da essi controllate, anche indirettamente.

Nella predetta circolare, infatti, è stato chiarito che “nell’ipotesi in cui il requisito del controllo sul soggetto quotato (o da parte del soggetto quotato) si verifichi nel corso del periodo d’imposta, la società interessata potrà, comunque, beneficiare della causa di esclusione (…) laddove tale circostanza si sia verificata per la maggior parte del periodo d’imposta considerato”.

6.2 Scioglimento agevolato: delibere assunte anteriormente al 1° gennaio 2008

D. Si chiede se, in conformità all’interpretazione adottata dall’Agenzia delle ent rate, con riferimento alla agevolazione disposta dalla legge 296/06 (circolare 25/E del 2007), possano avvalersi dello scioglimento agevolato previsto dalla legge finanziaria 2008 anche le società che hanno deliberato la messa in liquidazione prima del 1° gennaio 2008, ma successivamente al termine previsto dalla norma dello scorso anno (31 maggio 2007).

R. Possono avvalersi dello scioglimento agevolato previsto dal comma 129 della legge finanziaria 2008 le sole società che hanno deliberato la messa in liquidazione successivamente alla data di entrata in vigore della stessa.

 

7 GLI EFFETTI DELLE MODIFICHE IRES SUI BILANCI

7.1 Eliminazione delle deduzioni extracontabili e cambiamenti di stime

D. L’articolo 1, comma 34, della legge finanziaria prevede che l’Amministrazione finanziaria, a seguito dell’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possa disconoscere ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valore imp utati nel conto economico se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti principi contabili. Si chiede se l’illustrazione fornita nella nota integrativa, in base a quanto prevedono il Codice civile e i principi contabili – in particolare il documento n. 29 nella parte riferita al cambiamento di stime - sia sufficiente per provare la correttezza del comportamento seguito. A maggior ragione dovrebbe rilevare, anche fiscalmente, l’illustrazione fornita nella nota integrativa successivamente ad operazioni straordinarie, quali fusioni, nell’ipotesi, piuttosto ricorrente, di applicazione di coefficienti di ammortamento differenti tra le società coinvolte nell’operazione: in tali ipotesi, per esempio, la società incorporante potrebbe variare i coefficienti di ammortamento ed applicare quelli della società incorporata.

R. L’abrogazione della disciplina extracontabile, avvenuta ad opera dell’articolo 1, comma 33 della legge finanziaria 2008, determina la necessità di imputare a conto economico i componenti negativi per i quali si chiede la deduzione fiscale.

Al riguardo, il comma 34 contiene una disposizione normativa finalizzata ad evitare che taluni componenti negativi (ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valore) possano essere imputati a conto economico al solo fine di ottenerne la deducibilità fiscale.

 La norma prevede, infatti, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di disconoscere l’imputazione a conto economico dei predetti componenti negativi qualora non coerente con i comportamenti contabili adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità dell’impresa di dimostrare la giustificazione economica dell’imputazione a conto economico.

Al riguardo, si ritiene che la coerenza dei comportamenti contabili adottati potrà essere dimostrata dal contribuente e verificata dall’Amministrazione finanziaria utilizzando ogni elemento ritenuto utile al raggiungimento del predetto fine (ad esempio, le indicazioni fornite nella nota integrativa, il confronto con i bilanci relativi agli esercizi precedenti, ecc.). Le predette indicazioni in nota integrativa non possono, peraltro, intendersi preclusive dei poteri di controllo della Amministrazione finanziaria.

7.2 Applicazione degli Ias: strumenti finanziari detenuti per la negoziazione

D. Si chiede di confermare l’inclusione, tra gli strumenti finanziari di negoziazione, degli strumenti ai quali si applica la fair value option (Fvo). Gli strumenti in oggetto dovrebbero essere considerati nella categoria citata, vista la finalità e la sostanza economica degli stessi.

R. Gli strumenti finanziari detenuti per essere negoziati (cd. trading) devono essere classificati, secondo quanto prescritto dallo IAS 39, nella categoria delle attività finanziarie rilevate al fair value a conto economico (cd. Fair value through profit or loss o FVTPL).

Per effetto della cosiddetta “fair value option”, è altresì previsto che qualsiasi attività o passività finanziaria, nel rispetto di determinate condizioni, “può essere designata al momento della rilevazione iniziale” come attività finanziaria rilevata al fair value a conto economico (FVTPL); è di tutta evidenza, pertanto, che gli strumenti finanziari classificati nella categoria FVTPOL in virtù della predetta opzione devono necessariamente essere strumenti diversi da quelli di negoziazione, per i quali, invece, la rilevazione nella categoria FVTPOL rappresenta la naturale ed imprescindibile classificazione.

Ai fini fiscali, in ordine alla classificazione degli strumenti finanziari, l’articolo 1, comma 58, della legge 27 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha inserito nell’articolo 85 del TUIR il comma 3-bis, a norma del quale “per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, si considerano immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione”.

Pertanto - divers amente da quanto previsto per i soggetti che non applicano gli IAS/IFRS, per i quali, a norma del novellato articolo 85, l’individuazione degli strumenti finanziari che si qualificano come immobilizzazioni finanziarie avviene facendo direttamente riferimento alla classificazione operata in bilancio - per le imprese che adottano gli IAS/IFRS, solo le attività finanziarie detenute per essere negoziate sono escluse dalla categoria delle immobilizzazioni finanziarie.

La circo stanza che taluni strumenti finanziari siano indicati, per effetto della fair value option, nella medesima categoria (FVTPOL) in cui sono necessariamente classificate le attività finanziarie di trading comporta che tanto per i primi quanto per le seconde le plus/minusvalutazioni dei relativi fair value debbano essere direttamente imputate al conto economico, ma nulla implica in ordine alla qualificazione delle medesime come “attività immobilizzate” ovvero come “attività non immobilizzate”.

Appare evidente, inoltre, che se la norma del novellato articolo 85 avesse inteso estendere l’esclusione dalla categorie delle immobilizzazioni finanziarie ad altri strumenti finanziari, diversi da quelli di trading, inseriti nella categoria FVTPOL, avrebbe fatto esplicito riferimento all’intera

 categoria in questione piuttosto che limitare l’esclusione stessa ai soli strumenti “detenuti per la negoziazione”.

In sintesi, gli strumenti finanziari che per effetto della fair value option sono classificati nella categoria FVTPOL non possono farsi rientrare tra le “attività non immobilizzate”, tra le quali rientrano, per espressa previsione normativa, esclusivamente gli strumenti finanziari “detenuti per la negoziazione”.

 

8 LA FISCALITÀ INTERNAZIONALE

8.1 L’introduzione della c.d. White list

D. La sostituzione delle black list con una o più white list crea un problema procedurale in sede di applicazione delle norme antiabuso (CFC, deducibilità dei costi, ecc.).

Per fare l’esempio più significativo, mentre oggi i soggetti che acquistano merce dall’estero si preoccupano di evidenziare in dichiarazione solo le transazioni con soggetti domiciliati in paesi black list, in futuro dovrebbero evidenziare tutte le operazioni con soggetti non domiciliati in paesi white list.

Ma la norma non spiega in che modo il contribuente debba documentare la residenza della controparte. In particolare:

-       se per residenza si intenda quella definita dalla legge dello Stato estero, o quella deifinita dalle convenzioni vigenti fra questo Stato ed altri Stati (questa seconda ipotesi pare da escludere visto il confronto con l’articolo 27 bis del Dpr. 600/73);-  se – per documentare l’inclusione dello Stato estero nella white list – il contribuente debba acquisire una dichiarazioni dello Stato estero, una dichiarazioni semplice della società estera (come previsto dall’articolo 6 del D.Lgs. 239 del 1996) o sia sufficiente basarsi sulla sede indicata nella corrispondenza con la società estera.

R. Il comma 10 dell’articolo 110 del TUIR, come recentemente modificato dalla legge finanziaria, stabilisce il divieto di deducibilità per le spese derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti ovvero localizzati in Stati o territori diversi da quelli inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis.

Risulta quindi fondamentale, per una corretta applicazione della norma citata, precisare il concetto di residenza.

A tale proposito, si ritiene possibile richiamare, ove esistenti, i criteri definiti dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con lo Stato interessato. In mancanza, il concetto di residenza può essere ricavato dai principi internazionalmente riconosciuti in materia, in primo luogo quelli delineati dall’articolo 4 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

Occorre tuttavia rilevare che il nuovo disposto normativo fa riferimento “alle imprese residenti ovvero localizzate” in Stati o territorio non inclusi nella futura white list.

L’espressione – “residenti o localizzate” - utilizzata dal legislatore nel novellato comma 10 dell’articolo 110 del TUIR è volutamente generica ed è quindi idonea ad includere non solo le imprese residenti, ma anche le stabili organizzazioni e le imprese che possono essere considerate ivi localizzate in base a criteri di collegamento diversi dalla residenza.

Per quanto riguarda il profilo probatorio, in assenza di una norma che disponga in ordine alla prova della residenza o localizzazione dell’impresa estera, si ritiene utile, a tal fine, qualsiasi mezzo di prova, come ad esempio la certificazione della competente Autorità estera, una dichiarazione rilasciata ad hoc dall’impresa estera ovvero la comune documentazione commerciale da cui sia possibile desumere che quest’ultima risiede con una propria struttura nel Paese estero (fatture, corrispondenza, ecc.).

 

9 LA NUOVA BASE IMPONIBILE IRAP:

9.1 Deduzioni contabili pregresse e imposta sostitutiva

D. Il comma 51 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2008 detta le regole di rientro, cioè dispone la variazione in aumento ai fini IRAP (quote costanti in sei anni) per le deduzioni operate in passato nel quadro EC, che abbiano avuto effetto anche per il tributo regionale.

Questa norma sembra peraltro ignorare la disposizione del comma 48, che consente l’uscita immediata dal quadro EC del 31.12.2007, con il pagamento di una imposta sostitutiva anche dell’IRAP. Pur nel silenzio della legge, si può pacificamente ritenere che le imp rese aderenti al pagamento della sostitutiva non debbano procedere anche al rip ristino della base imponibile IRAP?

R. L’articolo 1, comma 51 della legge finanziaria 2008 stabilisce il recupero a tassazione IRAP, in sei quote costanti imputate a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2007, dei componenti negativi dedotti extracontabilmente dalla base imponibile IRAP fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007. In corrispondenza di tale recupero si determina lo svincolo per la quota IRAP delle riserve in sospensione d’imposta indicate nel prospetto utilizzato per la deduzione extracontabile (cosiddetto quadro EC nel modello di dichiarazione).

In alternativa al predetto regime ordinario di recupero a tassazione delle riserve, il comma 48 del medesimo articolo 1 prevede la possibilità di recuperare a tassazione l’eccedenza dedotta ai sensi dell’articolo 109, comma 4, lettera b) del TUIR “mediante opzione per l’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle società e dell’imposta regionale sulle attività produttive”.

 Appare evidente, quindi, che l’opzione per il versamento dell’imposta sostitutiva prevista nel comma 48 evita al contribuente la procedura di recupero a tassazione IRAP prevista nel citato comma 51.

9.2 Fondi accantonamento non deducibili

D. La nuova disposizione dell’articolo 5 del decreto IRAP esclude la deducibilità degli accantonamenti per rischi e “altri ”. Sembrerebbe pertanto introdurre una disposizione di ampliamento della base imponibile, dato che in passato rilevavano per l’IRAP anche gli accantonamenti degli articoli 105 e 107 del TUIR. Peraltro la nota 6) all’interpretativo n. 1 del principio contabile n. 12 avverte che la contropartita reddituale dei fondi iscritti nel passivo va ricercata prioritariamente nelle voci dell’aggregato B diverse da 12) e 13), dovendo prevalere la classificazione per natura dei costi dello schema di conto economico.

In altri termini l’accantonamento al fondo per spese legali (B3 del passivo) trova corretta contropartita nel conto economico in B7, costi per prestazioni di servizi, voce rilevante per il calcolo della base IRAP. Si chiede conferma di questa interpretazione, altrimenti si verificherebbe una doppia tassazione – al momento di sostenimento della spesa con i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità - che in passato era stata evitata riconoscendo la deduzione IRAP in tale esercizio, anche se nel relativo conto economico non ne risultava l’evidenza, dato l’utilizzo prioritario del fondo iscritto nel passivo.

R. L’articolo 5 del D.Lgs n. 446 del 1997 esclude la deducibilità, tra l’altro, degli accantonamenti per rischi ed oneri indicati nelle voci B 12 e B 13 del conto economico.

Trattasi di poste di natura estimativa che non devono, quindi assumere rilevanza nella determinazione della base imponibile IRAP.

 Ciò non toglie che le spese effettuate, la cui classificazione sotto il profilo contabile sarebbe stata imputata – in assenza di accertamento - ad altre voci dell’aggregato B rilevanti, in quanto deducibili, nella determinazione della base imponibile IRAP, possano assumere rilevanza ai fini della determinazione dell’IRAP al momento dell’effettivo sostenimento ancorché non espressamente risultanti nella relativa voce del conto economico per l’utilizzo del fondo iscritto nel passivo.

Ai fini dell’imputazione a conto economico degli accantonamenti, l’articolo 2425 del codice civile stabilisce che gli accantonamenti per rischi e ogni altro accantonamento devono essere indicati rispettivamente alle voci B 12 e B 13 dello schema di conto economico. I predetti accantonamenti, in applicazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall’articolo 1, comma 50, della legge finanziaria 2008, non sono deducibili ai fini IRAP.

Qualora privilegiando il criterio della classificazione per natura dei costi, tali poste vengano imputate ad altre voci dello schema di conto economico, le stesse non potranno comunque essere portate in deduzione. Ne consegue che eventuali accantonamenti imputati a voci diverse da B 12 e B 13 non possono beneficiare di un trattamento differenziato e, conseguentemente, non possono essere portate in deduzione ai fini della determinazione della base imponibile IRAP. I corrispondenti costi, come ricordato risulteranno, invece, deducibili dalla base imponibile IRAP solo al momento dell’effettivo sostenimento e sempre che riconducibili a voci dell’aggregato B rilevanti nella determinazione della base imponibile IRAP.

 

10 REGIME SANZIONATORIO DEL REVERSE CHARGE E ALTRI QUESITI IVA

10.1 Ambito temporale di applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata applicazione del reverse charge

D. Una società comunitaria che opera in Italia attraverso un rappresentante fiscale prima e successivamente attraverso l’identificazione diretta ha effettuato locazioni di beni mobili diversi dai mezzi di trasporto nei confronti di una ditta italiana. La prestazione dopo il 31 agosto 2002 per effetto del D.Lgs. n. 191 del 2002 doveva essere obbligatoriamente assoggettata a IVA dal committente con il meccanismo del reverse charge, ai sensi dell ’articolo 17, comma 3, del Dpr n. 633/72. La società comunitaria, attraverso il rappresentante, fiscale nel corso del 2004 e 2005 ha erroneamente assoggettato a IVA la prestazione addebitando l’imposta in fattura e versando regolarmente l’imposta. Di riflesso la società italiana ha operato la detrazione ai sensi dell’articolo 19 e seguenti, non soffrendo di limitazione alcuna al diritto di detrazione.

Ai sensi della nuova disciplina prevista dall’articolo 1, comma 155 della Legge finanziaria, che ha introdotto il nuovo comma 9-bis all’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, fermo restando il diritto alla detrazione, entrambi i soggetti sono solidalmente responsabili per il pagamento di una sanzione pari al 3 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro e un massimo di 10.000 euro per le violazioni commesse nei primi tre anni di applicazione del regime dell ’inversione contabile.

Si chiede conferma se, in applicazione del principio del favor rei, il nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata applicazione del reverse charge torni applicabile anche per le violazioni commesse in precedenza anche con riguardo al diritto alla detrazione operata dal committente.

R. L’ampliamento delle ipotesi di reverse charge, per cui il cessionario o il committente deve integrare con l’imposta a debito la fattura di acquisto di un bene o di un servizio emessa dal cedente o prestatore senza applicazione dell’IVA, ha indotto il legislatore a modificare l’impianto sanzionatorio del regime IVA del reverse charge.

In linea generale, il nuovo impianto sanzionatorio introdotto risponde a criteri di coerenza sistematica con le sanzioni in materia di IVA, punendo in maniera incisiva le frodi e sanzionando in modo meno rigido le irregolarità formali. Tale previsione risulta conforme al principio di trasparenza e neutralità dell’IVA, più volte richiamato dai giudici comunitari, i quali hanno sempre affermato, per quanto riguarda le sanzioni, che queste devono essere proporzionali all’abuso commesso dal contribuente e al danno patito dall’Erario.

In particolare, il legislatore ha previsto, al terzo periodo del comma 9-bis, una sanzione ad hoc per le ipotesi in cui dalla violazione degli obblighi sostanziali connessi all’operazione sottoposta a reverse charge non scaturisca alcun danno all’erario. Infatti, se l’imposta relativa all’operazione sottoposta al reverse charge sia stata assolta, anche se irregolarmente, dal cessionario/committente oppure dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai sensi dell’articolo 19 del DPR 633/72, l’irregolarità circa le modalità di applicazione dell’IVA viene punita con la sanzione del 3 per cento dell’imposta irregolarmente versata, con un minimo di 258 euro e comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei i primi tre anni di applicazione delle nuove disposizioni recate dal comma 9-bis), terzo periodo, e, in applicazione del principio del favor-rei, per quelle commesse negli anni precedenti. Al pagamento delle sanzioni sono tenuti solidalmente entrambi i contraenti.

Nella fattispecie in esame, in virtù del principio del favor rei, sancito nell’articolo 3 del D.Lgs. 472/97, la nuova sanzione si applica anche alle violazioni commesse precedentemente alla data di entrata in vigore della finanziaria, sempre che non vi sia un provvedimento di irrogazione divenuto definitivo.

10.2 Ambito oggettivo di applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata applicazione del reverse charge

D. La nuova disciplina prevista dall’articolo 1, comma 155 della legge finanziaria 2008, che ha introdotto il nuovo comma 9-bis all’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, stabilisce, tra l’altro, che “qualora l’imposta sia assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario o committente o committente ovvero dal cedente o prestatore …la sanzione amministrativa è pari al 3 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro e un massimo di 10.000 euro”. La disposizione costituisce un superamento del comma 8 dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, nel senso che qualora venga emessa “erroneamente” fattura senza addebito d ’imposta, basta che il cessionario o committenti integri con applicazione del reverse charge la fattura per considerare comunque assolta l’imposta?

R. Le nuove ipotesi sanzionatorie previste dall’articolo 6, comma 9-bis), del DLGS n. 471 del 1997, (introdotte dall’articolo 1, comma 155, della legge finanziaria 2008) si applicano solo alle operazioni interessate dal regime dell’inversione contabile previste dagli articoli 17 e 74 del DPR n. 633 del 1972.

Resta dunque esclusa dalla specifica disciplina sanzionatoria ogni altra ipotesi di regolarizzazione delle operazioni di acquisto soggette ad Iva secondo le regole ordinarie che continuano, pertanto, ad essere sanzionate secondo le consuete modalità.

Pertanto, si ritiene che nella fattispecie prospettata non sia ravvisabile nessun “superamento” e/o abrogazione del comma 8 dell’articolo 6, in discorso, la cui previsione sanzionatoria continua a trovare applicazione per le violazioni degli adempimenti previsti per fattispecie diverse da quelle cui torna astrattamente applicabile il regime dell’inversione contabile.

10.3 Reverse charge: modalità di regolarizzazione delle operazioni da parte del committente o del cessionario

D. Il quarto periodo del nuovo comma 9-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, introdotto dall’articolo 1, comma 155 della Legge finanziaria, prevede che “Al pagamento delle sanzioni previste nel secondo e terzo periodo, nonché al pagamento dell’imposta sono tenuti entrambi i soggetti obbligati all ’applicazione del meccanismo dell ’inversione contabile ”. Con riferimento all’ipotesi sanzionatoria di cui al secondo periodo (irregolare addebito dell’imposta da parte del cedente o prestatore che ne omette il versamento), in che modo il cessionario o committente può regolarizzare l’operazione (soggetta al meccanismo del reverse charge) per evitare l’applicazione della sanzione derivante dal comportamento fraudolento di un altro soggetto? In particolare, il cliente si trova a dover sopportare l’applicazione di una sanzione derivante dal comportamento di altro soggetto e ciò appare in contrasto con il principio sancito dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997 della personalità della pena.

R. L’ipotesi sanzionatoria di cui al secondo periodo del nuovo comma 9-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro, a carico del fornitore (cedente o prestatore) che, in relazione ad un’operazione soggetta al meccanismo dell’inversione contabile, addebita irregolarmente l’imposta in fattura omettendone il versamento. Il quarto periodo del medesimo comma prevede che nell’ipotesi sopra citata siano tenuti solidalmente al pagamento della sanzione e dell’imposta entrambi i soggetti obbligati all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile. Al riguardo, si precisa che la disposizione normativa sulla responsabilità solidale di entrambi i contraenti al pagamento dell’imposta e della sanzione per un comportamento fraudolento posto in essere dal fornitore è stata prevista tenendo conto del fatto che per le operazioni soggette all’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile è il cessionario/committente ad assumere la qualifica di soggetto passivo dell’imposta.

Considerato, quindi, che rientrerebbe tra gli obblighi del committente assolvere l’imposta, di regola integrando la fattura emessa dal prestatore senza Iva, indicando sulla stessa l’aliquota e la relativa imposta, e annotando tale documento tra le fatture emesse, non si ha ragione di ritenere la norma in discorso in contrasto con il principio sancito dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997 della personalità della pena.

Ciò premesso, si fa presente che il cessionario o committente, per evitare l’applicazione della sanzione derivante dal comportamento fraudolento del fornitore, può regolarizzare l’operazione presentando all’Ufficio delle entrate competente un documento integrativo in duplice esemplare, recante l’indicazione dell’imponibile, dell’aliquota e della relativa imposta., entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione (da effettuare nei termini indicati dall’articolo 17, quinto comma, secondo periodo, del DPR n. 633 del 1972) e avendo cura di:

-       non esercitare la detrazione dell’imposta erroneamente addebitata in fattura dal cedente;

-       annotare il documento emesso secondo le regole dell’inversione contabile, ossia nel registro delle fatture emesse di cui all’articolo 23 del DPR n. 633 del 1972 ed in quello degli acquisti di cui al successivo articolo 25;

-       liquidare l’imposta nei modi ordinari ed effettuare il versamento dell’eventuale imposta a debito emergente dall’operazione al verificarsi di cause di indetraibilità oggettiva o soggettiva.

 

10.4 Regolarizzazione di violazioni concernenti il plafond

D. Una società nel corso degli anni 2006 e 2007 ha usato il cosiddetto “plafond mobile” ma erroneamente in alcuni mesi ha utilizzato un plafond per acquisti interni maggiore di quello disponibile. La società sia nell’anno 2006 che nell’anno 2007 ha evidenziato, comunque, un credito di imposta.

Per regolarizzare la violazione si chiede se sia possibile adottare la seguente modalità:

1)      Emissione di una autofattura in duplice esemplare contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero pro gressivo di protocollo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe dovuto essere applicata;2)  Contabilizzazione a debito in sede della liquidazione periodica del mese di dicembre 2007 della maggiore imposta derivante dall’autofattura emessa e degli interessi;

3)      Presentazione di un esemplare dell’autofattura al competente ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate;

4)      Annotazione della autofattura nel registro degli acquisti al fine di esercitare il diritto alla detrazione sia per le operazioni relative al 2007 che per quelle effettuate nel 2006.

Per l’anno 2007 la società potrà effettuare il ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 472 del 97, versando la sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 471 del 1997 ridotta ad 1 del 5, mentre per l’anno 2006 asp etterà l’irrogazione della sanzione da parte dell’Ufficio.

R. L’Agenzia, già con le circolari 17 maggio 2000, n. 98/E, 12 giugno 2002 n. 50/E e 19 giugno 2002 n. 54/E, cui si rinvia, ha chiarito le modalità con cui l’esportatore abituale può regolarizzare l’acquisto o l’importazione di beni e servizi senza applicazione d’imposta oltre il limite del plafond. Con riferimento al quesito posto l’esportatore può adottare, alternativamente, nei limiti consentiti le seguenti procedure:

1.      richiedere al cedente o prestatore di effettuare le variazioni in aumento dell’Iva non addebitata in fattura ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, fermo restando l’obbligo del pagamento degli interessi e delle sanzioni a carico del cessionario o committente.

2.      emettere un’autofattura in duplice esemplare, contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero progressivo di protocollo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe dovuto essere applicata, provvedere al versamento dell’imposta, degli interessi e, limitatamente al 2007, effettuare il ravvedimento operoso delle sanzioni di cui all’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, mediante modello F24. L’autofattura deve essere annotata nel registro degli acquisti e un esemplare deve essere presentato al locale ufficio delle entrate.

Attraverso tale procedura, l’imposta oggetto di regolarizzazione confluirà nell’ammontare dell’imposta in detrazione della dichiarazione annuale e nell’ammontare dei versamenti effettuati. Come chiarito con la circolare n. 50/E citata, al fine di evitare la doppia detrazione dell’imposta regolarizzata sarà necessario indicare nella dichiarazione annuale l’imposta regolarizzata anche in una posta di debito.

Si precisa, infine, che per il 2007, se la regolarizzazione avviene prima che la violazione sia stata constatata o accertata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche, l’esportatore potrà beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista per il ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13 del d.lgs 472 del 1997. Diversamente per le violazioni commesse nel 2006, le sanzioni amministrative nella misura ordinaria saranno applicate direttamente dall’ufficio e potranno essere definite entro i termini per la proposizione del ricorso in misura ridotta ad un quarto ai sensi dell’articolo 16 comma 3 del d.lgs. n. 472 del 1997.

 

10.5 IVA: detrazione dell’imposta relativa ai telefoni cellulari dati in uso ai dipendenti

D. Una società ha dato in uso ai propri dipendenti cellulari aziendali. Il costo del traffico telefonico per le chiamate tra dipendenti o tra i dipendenti d alcuni numeri di rete fissa aziendali è ha carico della società, mentre i dipendenti hanno la possibilità di effettuare del traffico “privato” che viene fatturato direttamente a loro dalla compagnia telefonica.

Si chiede se sia corretto detrarre interamente l’imposta sia per il traffico “aziendale” che per l’acquisto del telefono cellulare in quanto l’utilizzo privato da parte dei dipendenti è assoggettato a IVA direttamente dalla compagna telefonica.

R. Con l’abrogazione della lettera g) dell’articolo 19-bis 1 del DPR 633/1972 per effetto del comma 261, lett e), n. 3, dell’articolo 1 della legge finanziaria 2008, scompare la limitazione al 50 per cento della detrazione IVA sui telefoni cellulari e sulle relative spese di gestione. A partire dal 1 gennaio 2008, la detrazione potrà quindi avvenire secondo la regola generale dell’inerenza contenuta nell’articolo 19 del DPR 633/1972.

Con riferimento alla fattispecie prospettata si conferma la integrale detraibilità dell’IVA relativa al solo traffico di telefonia mobile “aziendale” ai sensi dell’articolo 19 in quanto effettivamente afferente all’esercizio dell’impresa.

Per quanto riguarda, invece, la detrazione dell’IVA assolta per l’acquisto dei cellulari aziendali, poiché è la stessa società a evidenziarne l’utilizzo promiscuo da parte dei dipendenti, dovrà essere operata una limitazione della detrazione tenendo conto dell’effettivo utilizzo nell’ambito dell’attività d’impresa .

 

10.6 Coltivazioni agricole per conto terzi

D. Le attività di coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi sono considerate produttive di reddito agrario ai sensi dell’articolo 1, comma 176, della legge n. 244/01. Si ritiene che tale tassazione catastale prescinda dalla qualificazione di attività connessa e quindi ad esempio un produttore agricolo può svolgere esclusivamente tale attività di coltivazione per conto terzi. Qualora svolga anche una attività agricola tradizionale e quindi la prestazione di coltivazione sia connessa (Agenzia delle Entrate circolare n. 44/2004) ai fini dell ’Iva rientra nel regime forfetario di cui all ’articolo 34 bis del DPR n. 633/72. Si chiede conferma.

R. Con il comma 176, dell’articolo 1, della legge n. 244 del 2007, il legislatore ha inteso ricondurre la coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi tra le attività agricole dando la giusta rilevanza ad una attività tipicamente agricola che, seppure svolta per conto di altri, si concretizza nello svolgimento di attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso di carattere vegetale, utilizzando il proprio fondo. In tal senso è inequivocabile anche il richiamo contenuto nella norma, all’articolo 32, comma 2, lett. b). Tale attività non configura, dunque, un’attività connessa ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile. Ne consegue che la coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi può essere svolta dall’imprenditore agricolo sia in via esclusiva che parallelamente ad altre attività agricole

Ai fini dell’IVA, in caso di coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi si è in presenza di servizi aventi particolari complessità, che realizzano intere fasi del ciclo biologico e non singole operazioni tecniche, realizzati utilizzando prevalentemente attrezzature di pertinenza dell’azienda agricola da ricondursi, quindi, al trattamento fiscale di cui al regime particolare di detrazione dell’articolo 34-bis del DPR n. 633 del 1972. Non si può che pervenire alle medesime conclusioni nell’ipotesi in cui l’imprenditore agricolo si dedichi interamente allo svolgimento delle attività di coltivazione per conto terzi in questione, atteso che detta circostanza non è suscettibile di portare ad una differente valutazione in merito sia alla qualificazione dell’operazione che resta di prestazione di un servizio, sia alla natura agricola dell’attività, la quale resta in ogni caso ricompresa nella definizione di cui all’articolo 2135 del codice civile.

10.7 Servizi di telefonia: tracciabilità dei passaggi intermedi

D. Con l’articolo 1, commi 158 e 159, della legge finanziaria 2008, sono state inserite delle disposizioni volte a contrastare le frodi IVA nel settore dei servizi di telefonia. In particolare, il comma 158, che interviene in modifica dell’articolo 74, comma 1, lett. d) del DPR 633 del 1972, stabilisce che, al fine di consentire la tracciabilità dei passaggi attraverso i quali i mezzi tecnici giungono all ’utente finale, “per tutte le vendite dei mezzi tecnici nei confronti dei soggetti che agiscono nell’esercizio di imp rese, arti o professioni, anche successive alla prima cessione, i cedenti rilasciano un documento in cui devono essere indicate anche la denominazione e la partita IVA del soggetto passivo che ha assolto l’imposta. La medesima indicazione deve essere riportata anche sull’eventuale supporto fisico, atto a veicolare il mezzo tecnico…”. Con riferimento a tale disposizione, si desidera conoscere la portata e le modalità pratiche di attuazione dell’obbligo documentale ivi imposto, e nello specifico:

-       se esso sia esteso alle cessioni effettuate nei confronti di qualunque soggetto che agisca nell’esercizio di imprese, arti o professioni ovvero debba considerarsi sussistente solo per le cessioni nei confronti di soggetti che acquistano tali mezzi per poi farne a loro volta commercio;

-       se debbano essere documentate le cessioni di mezzi tecnici forniti esclusivamente per via telematica, ed in caso affermativo, attraverso quale metodo.

R. L’articolo 74, comma 1, lett. d), del DPR n. 633 del 1972, come modificato dal comma 158 della legge finanziaria 2008, è volto ad ampliare il regime monofase IVA nel settore dei servizi di telefonia, al fine di contrastare comportamenti fraudolenti.

In particolare, per assicurare la “tracciabilità” delle cessioni di qualsiasi mezzo tecnico, ivi compresa la fornitura di codici di accesso, per fruire dei servizi di telecomunicazione, fissa o mobile, e di telematica, è previsto, per il cedente, l’obbligo di rilasciare al cessionario un documento in cui siano indicate anche la denominazione e la partita IVA del soggetto passivo che ha assolto “a monte” l’imposta. Tenuto conto del tenore letterale della norma, che si riferisce a “tutte le vendite” dei mezzi tecnici effettuate “nei confronti dei soggetti che agiscono nell’esercizio di arti, imprese o professioni” e della sua ratio, si ritiene che tale obbligo sussista in capo al cedente per tutte le cessioni dei mezzi tecnici effettuate nei confronti di qualunque soggetto IVA.

Con riferimento al secondo quesito, si è del parere che l’obbligo di indicare la denominazione e la partita IVA del soggetto passivo che ha assolto l’imposta si estenda anche alle cessioni di mezzi tecnici effettuate esclusivamente in via telematica, mediante l’utilizzo di un documento che può avere anche le caratteristiche previste dal decreto ministeriale 23 gennaio 2004.

10.8 Omesso trasferimento del credito IVA al momento dell’ingresso nella liquidazione di gruppo nella previgente disciplina

D. Tenuto conto che dal 1° gennaio 2008 il nuovo articolo 73 del DPR n. 633 del 1972 vieta alle società che entrano per la prima volta nella liquidazione Iva di gruppo di trasferire il credito dell’anno precedente, si chiede di sapere se sia corretto il comportamento di chi, anche antecedentemente a questa data, abbia evitato di trasferire il proprio credito al momento dell’ingresso nella liquidazione di gruppo e l’abbia utilizzato in compensazione per il pagamento di altri tributi.

R. In via preliminare si osserva che la disposizione di cui all’articolo 1, comma 63, della legge finanziaria 2008 si applica a partire dalla liquidazione di gruppo relativa all’anno 2008. Ne consegue, quindi, che l’ente o la società controllante non potrà far confluire, ad esempio, nei calcoli compensativi relativi all’anno 2008, l’eccedenza di credito emergente dalle dichiarazioni relative all’anno 2007 di società che partecipano per la prima volta (nel 2008) alla liquidazione di gruppo.

Diversamente, in base al principio della successione delle leggi nel tempo, l’eccedenza di credito emergente dalle dichiarazioni relative all’anno 2006 di società che hanno partecipato per la prima volta, nel 2007, alla liquidazione di gruppo doveva essere trasferita al gruppo e gestita dall’ente o società controllante. A tal riguardo, con riferimento alle procedure di liquidazione Iva di gruppo effettuate fino al 31 dicembre 2007, la risoluzione 14 giugno 2007, n. 132/E ha chiarito che, dal momento in cui la società controllata aderisce alla procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo, perde totalmente la disponibilità dei saldi (attivi e passivi) risultanti dalle proprie liquidazioni periodiche che devono essere trasferiti alla società controllante. Ne consegue che non si ritiene conforme al dettato normativo il comportamento di chi, anche antecedentemente al 1° gennaio 2008, abbia evitato di trasferire il proprio credito al momento dell’ingresso nella liquidazione di gruppo e l’abbia utilizzato in compensazione per il pagamento di altri tributi.

 

11 APPLICAZIONE DEL REGIME DELLA TONNAGE TAX

11.1 Gruppo di imprese - Assenza di requisiti oggettivi in capo ad una di esse

D. Si chiede conferma che, se nell’ambito di un gruppo, in capo ad una società non ricorrono i presupposti per l’accesso al regime di tonnage tax per mancanza di uno dei requisiti oggettivi previsti dall’articolo 155 del TUIR - in quanto, già dall’inizio del periodo d’imposta, la stessa pone in essere una attività di locazione a scafo nudo oltre i limiti stabiliti nel 1° comma dell’articolo157 – non viene pregiudicata la possibilità di fruizione del beneficio da parte delle altre società del gruppo, in capo alle quali sussistano invece i predetti requisiti oggettivi.

R. Se la controllante non ha i requisiti oggettivi di cui all’articolo 155, commi 1 e 2, del TUIR, può esercitare l’opzione per la tonnage tax a favore delle altre società del gruppo. Si tratta di un mero adempimento formale che in quanto tale ha nei confronti della controllante valore di semplice comunicazione. La tonnage produrrà effetti solo nei confronti delle sue controllate.

Viceversa, nel caso in cui la controllante in possesso dei requisiti dell’articolo 155, non rispetti il requisito oggettivo - citato nel quesito - di cui all’articolo 157, comma 1, del TUIR, e cioè si trovi nella condizione di aver locato a scafo nudo “… oltre la metà delle navi complessivamente utilizzate per un periodo di tempo superiore, per ciascuna unità, al cinquanta per cento dei giorni di effettiva navigazione per ciascun esercizio sociale”, tale circostanza impedisce l’esercizio dell’opzione da parte delle altre società del gruppo.

Infatti, ai sensi del richiamato articolo 157, l’opzione per la tonnage tax “non può essere esercitata e se esercitata viene meno” qualora una società si trovi nella condizione descritta al paragrafo precedente.

Nel caso di un gruppo di imprese in tonnage tax, l’articolo 7, comma 4, del decreto attuativo 23 giugno 2005 prevede che il mancato rispetto da parte di una esse del requisito in commento “… determina la perdita di efficacia dell’opzione, con effetto dal periodo d’imposta in corso, per tutte le società del gruppo”. Dato che il mancato rispetto del requisito di cui all’articolo 157, comma 1, del TUIR è causa di decadenza dalla tonnage per tutto il gruppo, va da sé che il possesso di questo requisito da parte di tutte le società del gruppo è condizione indispensabile di accesso al regime in commento.

11.2 Rapporto tra tonnage tax e consolidato fiscale

D. Ferma restando la non cumulabilità in capo allo stesso soggetto dei regimi di tonnage tax e consolidato fiscale ai sensi dell’articolo 160, 1° comma del TUIR, si chiede conferma della compatibilità, all’interno di un gruppo, di società in tonnage tax (la cui opzione è trasmessa all’Agenzia dalla società controllante) con altre in consolidato fiscale, compresa la controllante, per le quali ovviamente non ricorrono i presupposti per l’adesione al regime di tonnage tax.

R. Il regime di consolidato fiscale in essere tra la controllante e alcune società del gruppo, prive dei requisiti per l’accesso alla tonnage tax, non si interrompe nel caso in cui la controllante medesima (anch’essa priva dei requisiti per l’accesso alla tonnage tax) comunichi anche l’opzione per la tonnage tax riferita ad altre società del gruppo (diverse da quelle partecipanti al consolidato) in possesso dei relativi requisiti.


Fonte: CIRCOLARE 12/E del 19 febbraio 2008.

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