Lo "statuto del contribuente" (articolo 12, comma 7, legge 212/2000) prevede che il contribuente possa, dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni, entro 60 giorni, comunicare osservazioni e richieste. Per consentire l'effettiva applicazione della norma, il legislatore prescrive all'ufficio di esaminare le osservazioni e le richieste prodotte dal contribuente, con l'obbligo di sospendere l'emanazione dell'atto impositivo per sessanta giorni, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Lo statuto del contribuente offre, quindi, al soggetto sottoposto a verifica, un congruo termine per vagliare l'operato degli ispettori, garantendo un termine di sessanta giorni, durante i quali, senza essere sottoposto alla spada di Damocle dei perentori termini dell'accertamento, può esprimere le sue controdeduzioni ai rilievi mossi, evidenziando aspetti non presi in considerazione integralmente o in misura sufficiente.

In fondo, il termine dei sessanta giorni d'attesa sembra un onere dovuto a fronte dell'obbligo di "ospitalità" di trenta più trenta, che il legislatore impone al verificato per consentire all'ufficio di svolgere adeguatamente le sue indagini fiscali. Sotto altro profilo, i sessanta giorni postumi alla chiusura della verifica sono solo un minimo di legge, in ossequio al principio di tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente (articolo 10 dello statuto del contribuente).

Già da prima, nel corso della verifica, i funzionari devono confidare nella buona fede della parte e improntare la loro attività istruttoria alla collaborazione con i propri interlocutori che, ovviamente, devono porsi nei confronti degli ispettori con eguale spirito partecipativo per facilitare l'aderenza del controllo all'effettiva condizione reddituale e, in genere, alla capacità contributiva dell'azienda.

Per questo, l'emissione dell'accertamento prima del decorso dei sessanta giorni può rappresentare, prima che una violazione della norma e di un termine, una violazione ancor più grave del principio dell'affidamento e della buona fede da parte dell'ufficio, una certificazione dell'assenza dello spirito collaborativo che deve imperniare il rapporto tra le parti.

La giurisprudenza

La giurisprudenza di merito, con più sentenze, ha espresso tesi contrapposte, a volte annullando l'accertamento anticipato, altre, invece, respingendo la richiesta di declatoria d'invalidità.

Nelle sentenze a favore del contribuente (tra le altre, Ctp di Siracusa 44/3/2003, Ctp di Treviso 14/1/2005, Ctr Lazio 359/39/2005), le Commissioni hanno motivato l'annullamento dell'accertamento sostenendo la perentorietà del termine di sessanta giorni, con conseguente applicabilità della sanzione estrema della nullità dell'atto emanato prima che questo sia decorso. Anche se la norma non prescrive letteralmente la nullità dell'accertamento, secondo i giudici che sostengono la perentorietà del termine, in ogni caso, si deve ritenere invalido l'atto impositivo anticipato.

Talvolta questa soluzione è motivata dalla natura sovraordinata delle norme dello statuto del contribuente, che condurrebbe a un'applicazione più rigida delle stesse. In altri casi, secondo i giudici, seppur la norma non preveda espressamente la sanzione della nullità dell'accertamento emesso prima che siano decorsi i sessanta giorni, tale sanzione sarebbe insita nella perentorietà dell'espressione letterale usata dal legislatore.

In altre sentenze si legge che la nullità sarebbe da ricondurre a un principio generale del diritto amministrativo, per cui il mancato rispetto di uno degli obblighi, anche solo formali, del procedimento condurrebbe automaticamente alla nullità dell'atto amministrativo derivato.

Tra l'altro, in alcuni di questi casi, le Commissioni tributarie hanno dichiarato la nullità, ancorché l'emissione dell'accertamento prima della scadenza del sessantesimo giorno dalla notifica del processo verbale di constatazione fosse giustificata dalla necessità di evitare il decorso dei termini di decadenza della potestà di controllo e d'accertamento. Si rammenta, infatti, che lo stesso articolo 12 della legge 212/2000 precisa che l'Amministrazione deve emanare l'accertamento trascorsi almeno sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, salvo che non vi siano casi di particolare e motivata urgenza. Eppure, nei casi citati, l'incombenza dei termini di decadenza non è stata considerata motivo d'urgenza idoneo a giustificare l'emissione anticipata dell'atto impositivo.

Le ragioni espresse dalle Commissioni sul punto rilevano che il ritardo dell'Amministrazione nell'avviare i controlli non può determinare un giusto motivo per ridurre le garanzie e i diritti dell'azienda sottoposta all'azione accertatrice, ravvisando un'implicita inefficienza dell'ufficio ed esprimendo una, non più di tanto celata, impropria volontà sanzionatoria.

Di converso, le Commissioni che hanno respinto la domanda di nullità dell'accertamento anticipato (tra le altre, Ctr Lazio 181/10/2006, Ctr Lombardia 61/12/2007, Ctp Aosta 29/1/2007) hanno rilevato che le ipotesi di nullità dell'accertamento sono espressamente codificate dagli articoli 42, Dpr 600/73, e 56, Dpr 633/72, che lo stesso statuto del contribuente ha espressamente enunciato la sanzione di nullità dell'atto emesso quando intendeva comminarla e che, semmai, piuttosto che di nullità, deve configurarsi, nel caso in commento, di un'ipotesi d'annullabilità dell'avviso d'accertamento, ex articolo 21-octies della legge 241/1990, facendo riferimento, in particolare, al secondo comma della norma: "Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (si veda anche, FISCOoggi del 9/3/2007, "I sessanta giorni che dividono giurisprudenza e dottrina").

Osservazioni e critiche

L'esame della giurisprudenza di merito fa insorgere qualche dubbio, sia nelle ipotesi in cui le Commissioni si sono espresse pro-Fisco, che in nelle tante in cui, invece, hanno accolto la domanda del contribuente. Si deve respingere ogni tentativo di estremizzare l'approccio alla norma, sia che ciò porti alla rigida applicazione del divieto, comminando la nullità dell'accertamento in qualunque caso in cui lo stesso sia nato prima dei fatidici sessanta giorni, sia che conduca ad approcci superficiali alla norma, che conferiscono sempre piena validità all'accertamento anticipato, senza verificare se effettivamente lo stesso abbia prodotto la contrazione o, peggio, l'esclusione del diritto della parte a intervenire e cooperare nel procedimento amministrativo, formulando sue osservazioni e richieste agli uffici.

Opportuno sarebbe avere riguardo non al termine in sé e per sé, ma al motivo per cui lo stesso è stato previsto dal legislatore, alla ratio del divieto, e solo in funzione di ciò, poi, giudicare la validità dell'accertamento. La disposizione è preordinata alla realizzazione della piena collaborazione tra le parti, tutelando ovviamente chi tra i due soggetti rischia di vedere precluso il suo diritto di partecipazione al procedimento.

Non sempre il legislatore nell'introdurre un obbligo o un divieto ne chiarisce la ratio mentre, in tal caso, questa, oltre a desumersi dal titolo della disposizione di legge, dai lavori preparatori, si evince direttamente dal contesto letterale della norma, che così recita: "Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non puo' essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza".

E' la cooperazione tra Amministrazione e contribuente che giustifica, quindi, la previsione del termine di sessanta giorni e il divieto d'emanazione, durante tale periodo, dell'avviso d'accertamento. In quest'ottica deve essere affrontata la vexata quaestio.

Nel verificare la legittimità dell'accertamento anticipato si deve, pertanto, valutare se lo stesso abbia o meno consentito la cooperazione del contribuente al procedimento amministrativo, la quale può sussistere anche in assenza delle memorie presentate dopo la chiusura delle operazioni.

In secondo luogo, rilevato che di fatto sia mancato il rapporto collaborativo e sia stato impedito al contribuente di partecipare al procedimento amministrativo, nel rispetto dell'articolo 21-octies della legge 241/1990, legge che rappresenta il cardine originario del principio della partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo, occorre verificare se la mancata partecipazione abbia determinato un esito diverso dell'atto in concreto adottato.

In sede giurisdizionale, colui che sostiene la nullità dell'accertamento deve, quindi, dimostrare:

che è stata impedita la partecipazione della parte al procedimento amministrativo

che attraverso quella partecipazione l'atto avrebbe avuto diverso esito, inferiore evidentemente in termini economici a quello notificato.

Collaborazione e partecipazione del contribuente non solo devono essere assicurate nei sessanta giorni successivi alla chiusura della verifica, ma devono, allo stesso modo, essere garantite durante le operazioni di controllo in azienda. Ove dai processi verbali giornalieri si evinca una fattiva partecipazione del soggetto sottoposto al controllo (al quale possibilmente sono riferiti gli esiti dei riscontri e delle ispezioni eseguite, consentendogli di esprimere le sue valutazioni e di fornire dati divergenti, magari poi fatti propri dagli ispettori), ove si permetta al contribuente di esprimere proprie specifiche controdeduzioni al termine delle operazioni (attraverso la verbalizzazione delle dichiarazioni della parte), appare assai improbabile che si possa invocare la nullità dell'accertamento anticipato, sostenendo che sia stata impedita la cooperazione tra contribuente e Amministrazione.

Le osservazioni e le richieste, affinché possano condurre a una declaratoria d'illegittimità dell'atto amministrativo, devono essere differenti da quelle già oggetto del rapporto collaborativo: se si tratta della mera reiterazione di motivi già espressi nei processi verbali giornalieri di contraddittorio, la richiesta d'annullamento dell'accertamento deve ritenersi pretestuosa e priva di valide motivazioni.

Si supponga che nel corso di una verifica, nel determinare la percentuale di ricarico medio ponderato, i verificatori abbiano coinvolto la parte, magari facendo individuare alla stessa il paniere rappresentativo dei beni su cui costruire la media. In tal caso, ove l'Amministrazione proceda alla notifica dell'accertamento prima della scadenza dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, apparirebbe assolutamente pretestuosa una richiesta al giudice d'annullamento dell'atto per il mancato rispetto dei termini, senza fornire osservazioni e richieste ovvero asserendo la necessità di modificare il paniere rappresentativo, frutto non della autonoma determinazione dell'ufficio, ma della diretta scelta della parte.

A conclusioni diverse, probabilmente, si dovrebbe giungere ove il contribuente contesti, non già il paniere rappresentativo, ma altri elementi del calcolo del ricarico, sui quali non ha potuto avere effettiva possibilità di cooperazione durante le operazioni di controllo. Ad esempio, riprendendo il caso appena esposto, se l'osservazione del contribuente concerne l'errata determinazione del costo del venduto, che ha condotto alla contestazione di maggiori imposte, interessi e sanzioni, con l'accertamento emanato prima che siano decorsi sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di contestazione, si è in presenza non di pretestuose richieste d'annullamento di un atto, per meri vizi formali nel suo procedimento, ma di una sostanziale contrazione dei diritti del contribuente. E' vero, infatti, che questi può sempre ottenere dall'autorità giurisdizionale la riduzione dell'imposta dovuta, rideterminata con la corretta individuazione del costo del venduto, ma in tal caso, rivolgendosi alle Commissioni tributarie, non solo dovrà sopportare le spese necessarie all'uopo, ma perderà l'occasione di accedere a istituti agevolativi, quali l'acquiescenza e la definizione agevolata delle sole sanzioni.

La soluzione più corretta appare, pertanto, strettamente rapportata alla singola fattispecie. Soprattutto essa non deve essere legata alla miope applicazione del precetto ma all'avveduta valutazione dell'effettiva contrazione delle garanzie del contribuente, che, solo ove effettivamente leso nelle sue prerogative, può a ragione invocare la violazione dello statuto del contribuente. Valutazioni approfondite della singola fattispecie nei suoi risvolti sostanziali, peculiarmente riferibili all'effettiva esistenza della partecipazione del contribuente al procedimento amministrativo e alla valutazione degli effetti pratici sull'atto emanato dell'eventuale mancata partecipazione, devono essere, quindi, gli strumenti interpretativi a cui ricorrere in caso di contestata legittimità dell'accertamento emesso prima che siano trascorsi i noti sessanta giorni.

L'accertamento anticipato per evitare la decadenza dell'azione amministrativa

La norma in esame, come visto, consente l'emissione dell'accertamento anticipato allorché vi siano casi d'urgenza motivata e particolare.

In primo luogo l'urgenza deve essere motivata; gli uffici, pertanto, allorché decidano di non attendere il decorso del termine dei sessanta giorni e di procedere all'emissione dell'avviso d'accertamento fondato sull'esame del processo verbale di constatazione, devono specificare nell'atto le ragioni di questa loro scelta. Inoltre, l'urgenza deve essere particolare, ossia un'urgenza legata alla singola fattispecie, quindi ai caratteri specifici del caso accertato, non già a condizioni generali, ad esempio riguardanti la circostanza che il contribuente appartiene a una categoria di soggetti statisticamente poco solvibili.

La giurisprudenza conosciuta non ha, invero, affrontato tante ipotesi d'urgenza. L'unico motivo d'urgenza, seppur molto importante, è quello dell'incombenza del termine ultimo di decadenza della potestà accertatrice. I giudici, come già illustrato, in alcuni casi hanno ritenuto che l'accertamento anticipato, ancorché giustificato dalla necessità d'evitare la decadenza, sia illegittimo. Tale orientamento sembra determinato dalla volontà di censurare il ritardo con cui è stata avviata l'attività di controllo da parte dell'autorità preposta.

Rispetto a questo risvolto della vicenda, la decisione dei giudici di annullare gli accertamenti appare ancor meno condivisibile. Non si può certo censurare l'inefficienza dell'Amministrazione, foriera probabilmente già di suoi effetti cagionevoli sugli interessi dei contribuenti diligenti nell'adempiere agli obblighi tributari, con una decisione che, prescindendo dalla tutela del diritto di partecipazione al procedimento del soggetto accertato, finisce per causare un danno certo alla massa dei contribuenti.

Il principio della cooperazione tra Pubblica Amministrazione e soggetto interessato dall'azione amministrativa, non può di certo porsi in una situazione di supremazia rispetto a ben più rilevanti principi giuridici, di matrice costituzionale, quale quello solidaristico nella contribuzione alle spese pubbliche, o l'altrettanto fondamentale principio della capacità contributiva, cardine del sistema tributario. La decisione di annullare gli accertamenti anticipati, motivati dalla prossima scadenza dei termini, non sembra supportata da valide ragioni.

Pur prescindendo dalla citata scala di valori e volendo, solo per ragioni argomentative, attribuire al principio di capacità contributiva pari dignità del diritto del contribuente di cooperare nella determinazione dell'atto amministrativo finale, si deve rilevare che, in ogni caso, non si può condividere la decisione di annullare l'accertamento, sempre e comunque, per censurare il comportamento dell'ufficio, reo di avere atteso l'ultimo periodo utile per avviare il controllo.

Se l'agenzia delle Entrate o la Guardia di finanza dovessero decidere di controllare il periodo d'imposta in scadenza, in assenza di motivi particolari (ma solo per ragioni di controllo periodico, utilizzando la tipica espressione, soggetto inserito nel piano annuale dei controlli), iniziando una verifica fiscale in novembre, i giudici potrebbero sostenere, con ragioni condivisibili, che il ritardo nello svolgimento dell'attività non può pregiudicare il legittimo interesse del contribuente a partecipare all'emissione dell'accertamento, con proprie osservazioni o richieste successive alla notifica del processo verbale di constatazione.

Viceversa, se nello stesso periodo di fine anno, a seguito di una segnalazione, ad esempio da parte dell'Ispettorato sul lavoro (fondata su recenti rivelazioni dei lavoratori), relativa all'utilizzo di lavoratori irregolari, dovesse iniziare una verifica di un periodo d'imposta di prossima decadenza, non si può attribuire certamente alcuna responsabilità alla Pubblica Amministrazione, avendo questa svolto il controllo in extremis per motivi conosciuti solo all'ultimo momento. Allo stesso modo, ove la verifica abbia riguardato tutti gli anni controllabili, compreso quello in scadenza, e l'ufficio emetta l'accertamento anticipato solo per tale l'annualità, attendendo per le altre lo spirare del termine, appare palese che non sia ipotizzabile una specifica volontà d'impedire l'esercizio del diritto di partecipazione del verificato (che potrà esercitare riguardo ai rilievi concernenti le annualità non scadenti) alla formazione dell'atto impositivo, ma che si sia in presenza di una particolare e motivata urgenza, idonea a legittimare l'accertamento.

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