Gli atti amministrativi di un'Amministrazione fiscale estera vanno distinti fra provvedimenti, intesi come manifestazioni di volontà aventi rilevanza esterna e caratterizzati dall'idoneità ad apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica dei destinatari, e atti dichiarativi Questi ultimi, sono atti atipici che non incidono in alcun modo sulla situazione del destinatario; pertanto, a differenza degli atti provvedimentali, possono assumere rilievo ai fini della disapplicazione della normativa cfc.

E' il punto centrale della risoluzione n. 288/E dell'11 ottobre.

A distanza di qualche anno, l'agenzia delle Entrate è tornata ad occuparsi del rapporto esistente tra black list e ruling "in peius". L'argomento, che era stato già affrontato dalla risoluzione n. 358 del 15 novembre 2002, riguarda in particolare le società localizzate negli Stati o Territori elencati negli articoli 2 e 3 del Dm 21 novembre 2001 (la cosiddetta black list). Questi Stati, infatti, a differenza di quelli elencati nell'articolo 1 dello stesso decreto, sono considerati paradisi fiscali limitatamente a specifici regimi agevolati fruibili da determinati tipi di società.

La fattispecie

Come nel 2002, la risoluzione riguarda una società svizzera. La risposta dell'Agenzia presenta, invece, alcuni elementi di novità.

La società istante controlla una società residente in Svizzera, il cui scopo sociale principale è l'acquisto, la gestione e, se del caso, la cessione di partecipazioni azionarie: si tratta quindi, con tutta evidenza, di una società ascrivibile alla categoria delle "holding". La holding, in particolare, detiene il controllo totalitario di una banca, anch'essa residente in Svizzera. La banca ha già chiesto e ottenuto la disapplicazione del regime cfc (articolo 167 Tuir).

Le richieste del contribuente

L'istante ha chiesto la disapplicazione della normativa cfc relativamente alla holding, adducendo tre ordini di motivazioni.

In primo luogo, la controllata sarebbe da considerarsi esclusa dal campo di applicazione dell'articolo 167 del Tuir (e, di conseguenza, dell'articolo 89), in quanto, a partire dal 2001, non beneficia di alcun regime agevolato ed è soggetta in Svizzera alle ordinarie imposte federali, cantonali e municipali.

In via subordinata, la normativa cfc dovrebbe essere disapplicata ai sensi della lettera b) dell'articolo 167, comma 5, del Tuir: nel caso di specie, infatti, sarebbero rispettate le condizioni richieste dalla risoluzione n. 63 del 2007 e, in particolare, l'effettiva tassazione del reddito complessivamente prodotto dalla controllata estera con aliquota non inferiore al 27 per cento. Al pari del riconoscimento dell'esclusione della controllata dalla black list, quello della "seconda esimente" consentirebbe di disapplicare anche le disposizioni di cui all'articolo 89, comma 3, del Tuir, che sottopongono a tassazione integrale in Italia i dividendi comunque provenienti da un Paese black list.

In via ulteriormente subordinata, infine, la disapplicazione della normativa cfc dovrebbe essere concessa anche in base alla lettera a) dell'articolo 167, comma 5, Tuir, in quanto la controllata disporrebbe di una struttura organizzativa idonea a svolgere la propria attività.

La legislazione svizzera e la "riduzione per partecipazioni"

Prima di rispondere alle richieste del contribuente, l'Agenzia riassume brevemente il regime fiscale applicabile alle holding svizzere.

In via preliminare, viene ricordato che il carico fiscale gravante su una società residente in Svizzera deriva dalla somma delle imposte prelevate dalle diverse istanze governative e amministrative e, in particolare, dalla somma delle imposte federali, cantonali, municipali e di culto.

Ai fini del Dm 21 novembre 2001, tuttavia, rilevano principalmente gli eventuali regimi di favore previsti dalla legislazione locale elvetica, cantonale e municipale.

La legislazione federale svizzera, infatti, non prevede, in linea di principio, particolari regimi agevolativi per specifiche categorie di soggetti passivi.

L'Agenzia precisa, al riguardo, che l'applicazione della "riduzione per partecipazioni" non può considerarsi regime fiscale di favore, in quanto analogo alla participation exemption applicata in Italia; pertanto, non ha ratio agevolativa, ma è semplicemente un metodo per ridurre la doppia imposizione economica gravante sugli utili infragruppo.

I requisiti previsti dalla leggi locali svizzere per l'agevolazione holding

Le leggi cantonali, invece, prevedono generalmente un regime speciale di favore per le società il cui scopo statutario relativamente all'attività principale consiste nella gestione durevole di partecipazioni e che non esercitano un'attività commerciale in Svizzera (Holdinggesellschaften, e cioè, società holding).

In linea di principio, le holding non pagano imposte sugli utili se le partecipazioni o gli utili derivanti dalle partecipazioni costituiscono almeno i due terzi delle proprie attività totali o dei propri utili.

L'Agenzia evidenzia che l'applicazione della normativa agevolata prevista dalla legislazione locale per le società holding è subordinata, oltre che al possesso dei requisiti richiesti dalla legge, a una espressa richiesta di applicazione da parte del contribuente.

La necessità di una richiesta espressa da parte del contribuente deriva, in realtà, dalle modalità di attuazione del tributo previste dalla legislazione elvetica: a differenza che in Italia, infatti, in Svizzera la liquidazione delle imposte sui redditi è effettuata dall'Amministrazione finanziaria e non dal contribuente.

Il contribuente ha il solo compito di "dichiarare" all'Amministrazione la consistenza qualitativa e quantitativa delle proprie componenti positive e negative di reddito.

Il contribuente che ritenga di essere in possesso dei requisiti oggettivi che legittimano l'applicazione del regime speciale previsto per le holding, pertanto, dovrà segnalarlo all'Amministrazione.

Poiché, in mancanza di questa segnalazione, il Fisco elvetico liquiderà le imposte in misura ordinaria, si può dire che la "segnalazione" del contribuente si configura, in sostanza, come un vero e proprio "onere".

La risposta dell'Agenzia

L'Agenzia ha accolto solo alcune delle argomentazioni avanzate dal contribuente. L'accoglimento, peraltro, è parziale e parzialmente e fortemente condizionato.

L'amministrazione, in particolare, ha aderito all'impostazione per cui la controllata va considerata esclusa dalla black list e, di conseguenza, ha dichiarato l'interpello inammissibile.

Poiché, tuttavia, la dichiarazione di inammissibilità è condizionata alla sussistenza di determinate circostanze di fatto, che non emergevano chiaramente dall'istanza, l'Agenzia ha ritenuto opportuno pronunciarsi anche sulle richieste di disapplicazione avanzate dal contribuente.

Al riguardo, si evidenzia che tanto la richiesta di disapplicazione della normativa cfc avanzata ai sensi della lettera a), quanto quella avanzata ai sensi della lettera b), sono state ritenute inaccettabili.

L'esclusione dalla black list

Con la risoluzione 288/E, l'agenzia delle Entrate ha ritenuto che le certificazioni rilasciate dall'Amministrazione finanziaria elvetica e prodotte dal contribuente costituissero un elemento di rilievo nella valutazione dello status fiscale della controllata dell'istante.

Al contempo, tuttavia, è stato sottolineato come l'esclusione della black list, da affermarsi in base alle risultanze documentali prodotte dal contribuente, sia subordinata all'effettiva corrispondenza di quanto affermato dall'Amministrazione elvetica con la situazione oggettiva in cui si trova la società controllata.

I documenti prodotti dall'istante, in sostanza, sono stati ritenuti veri e propri "certificati" (atti meramente ricognitivi della sussistenza di determinate condizioni oggettive) e non "provvedimenti" o "accordi" amministrativi.

Resta fermo, dunque, il principio affermato con la risoluzione n. 358/2002, in base al quale il comma 2 dell'articolo 3 del Dm 21 novembre 2001 sancisce l'irrilevanza di qualsivoglia atto discrezionale con il quale l'Amministrazione elvetica applica a un soggetto residente un trattamento fiscale diverso da quello a lui spettante in base alla normativa locale.

La risoluzione n. 358/2002: i "ruling in peius"

Per comprendere la risposta fornita dall'Agenzia nella risoluzione in esame, occorre ripercorrere brevemente il ragionamento sotteso alla citata risoluzione n. 358 del 2002.

Il Dm 21 novembre 2001 elenca sia gli Stati che sono considerati comunque a fiscalità privilegiata, a prescindere dal regime concretamente applicabile alle società di volta in volta considerate (articolo 1), sia gli Stati che sono considerati a fiscalità privilegiata limitatamente a determinati regimi fiscali o a determinate tipologie societarie (articoli 2 e 3).

Con la risoluzione n. 358/2002 si sottolineava che l'individuazione dei Paesi elencati nella black list era avvenuta in base alla normativa vigente nei diversi Stati e, dunque, in base a parametri oggettivi. Nella decisione in ordine all'esclusione di una determinata società dalla black list nessun rilievo può o deve avere la volontà del contribuente: non sarebbe coerente, infatti, far dipendere l'applicazione di un regime antielusivo, qual è chiaramente la normativa cfc, da una determinazione unilaterale del contribuente.

In concreto, questo determina l'irrilevanza, ai fini dell'applicazione della normativa cfc, dei ruling in peius e, cioè, degli accordi tra Amministrazione e contribuente volti a escludere quest'ultimo da determinati benefici fiscali.

Per l'Agenzia, infatti, gli "atti amministrativi di una Amministrazione estera" sono, per definizione, atti che non hanno natura di fonti di diritto e che sono quindi privi delle garanzie di pubblicità, trasparenza e definitività tipiche di queste ultime.

Non si può consentire al contribuente di "optare per la giurisdizione fiscale nella quale ritiene più opportuno essere assoggettato a tassazione in base a ultronei calcoli di convenienza".

Dare rilevanza alle scelte volontarie del contribuente, che sono per loro natura revocabili, significherebbe svuotare di significato la normativa cfc, che si basa proprio sul disconoscimento delle scelte del contribuente, qualora esse siano determinate da ragioni puramente elusive(1).

Le novità della risoluzione n. 288/2007 in materia di atti di amministrazioni estere

Occorre ribadire che la risoluzione in esame non mette in discussione quanto affermato nel 2002, ma lo precisa, introducendo una distinzione nell'ambito degli "atti amministrativi" menzionati nella risoluzione n. 358/2002.

La distinzione, in realtà, riflette quella, nota alla dottrina amministrativistica(2), tra provvedimenti, intesi come manifestazioni di volontà aventi rilevanza esterna e caratterizzati dall'idoneità ad apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica dei destinatari, e atti dichiarativi.

Questi ultimi, espressione della funzione "dichiarativa" o "certativa" della Pubblica Amministrazione, sono atti atipici (a differenza degli atti provvedimentali, che sono sempre tipici), che non contengono una manifestazione di volontà.

Gli atti dichiarativi, in sostanza, non incidono in alcun modo sulla situazione del destinatario, ma hanno un valore eminentemente probatorio.

Ne consegue che gli atti dichiarativi e, in particolare, i certificati rilasciati dalle Amministrazioni estere non sono, in linea di principio, atti che consentono al contribuente di "optare per la giurisdizione fiscale nella quale ritiene più opportuno essere assoggettato a tassazione in base a ultronei calcoli di convenienza" (risoluzione n. 358/2002).

I certificati, pertanto, a differenza degli atti provvedimentali, possono assumere rilievo ai fini della disapplicazione della normativa cfc.

Le condizioni poste dalla risoluzione n. 288/2007 alla rilevanza degli atti delle amministrazioni estere

Questa distinzione permette di comprendere il significato della risposta fornita con la risoluzione n. 288/2007.

L'Agenzia si è trovata a dover valutare una serie di "atti amministrativi" rilasciati dall'Amministrazione finanziaria elvetica e attestanti la soggezione della holding controllata dall'istante alle imposte ordinarie applicabili alle società svizzere.

Nell'impossibilità di qualificare con certezza gli atti prodotti dal contribuente quali meramente provvedimentali o certificativi, l'Amministrazione italiana ha tentato una soluzione di compromesso.

Da un parte, infatti, l'Agenzia ha aderito alla tesi del contribuente, secondo il quale si tratterebbe di atti meramente dichiarativi ("certificati"), e ha dichiarato l'interpello inammissibile, sul presupposto che la società interessata non rientra nel campo di applicazione della black list.

Dall'altra, però, ha lasciato intendere che, qualora tale valutazione dovesse rivelarsi errata, e i certificati prodotti siano in realtà "atti provvedimentali", la società controllata dall'istante rientrerebbe a pieno titolo nella black list.

L'opzione del contribuente per la tassazione agevolata

Un'ultima precisazione riguarda il ruolo svolto, nella fattispecie esaminata dall'Agenzia, dall'opzione unilaterale del contribuente per la tassazione ordinaria.

Come ricordato, infatti, la legislazione svizzera non prevede l'autoliquidazione dell'imposta da parte del contribuente.

Ne deriva che, per beneficiare dei regimi agevolati, è necessario in ogni caso fare espressa richiesta all'Amministrazione finanziaria.

Tale comunicazione, come tutti gli oneri, ha carattere discrezionale. È ben possibile, pertanto, che il contribuente, pur essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti per beneficiare di una determinata agevolazione fiscale, rinunci, in base a propri calcoli di convenienza, a chiederne l'applicazione all'amministrazione elvetica.

Ne consegue, che, al pari delle altre "determinazioni volontarie" del contribuente, il mancato esercizio di questa "opzione" è di per sé irrilevante ai fini dell'esclusione dalla black list, che è legata esclusivamente al mancato rispetto delle condizioni previste, in via generale, dalla legge locale.

Il parere negativo alla disapplicazione della normativa cfc

Nonostante ritenga inammissibile l'interpello, l'Agenzia fornisce una risposta di merito, destinata ad avere effetto nel caso in cui la holding debba ritenersi, in base a quanto detto sopra, rientrante nel campo di applicazione della black list.

In questo caso, in particolare, non sarebbe possibile concedere la disapplicazione della normativa, né in base alla prima, né in base alla seconda esimente previste dalla normativa cfc.

Per quanto riguarda la prima esimente, la motivazione del diniego è semplice: la documentazione prodotta dall'istante non è idonea a dimostrare che l'attività di gestione delle partecipazioni viene svolta con una organizzazione tale da costituire attività d'impresa rilevante ai fini dell'articolo 167 del Tuir.

Al riguardo, si ricorda che, a partire dalla risoluzione n. 388/E del 19 dicembre 2002, l'Agenzia ha assunto una posizione molto rigida in ordine alla possibilità di considerare "industriale" o "commerciale" l'attività svolta da una holding.

Ulteriori chiarimenti in merito alla "seconda esimente"

L'interpello oggetto della risoluzione n. 288 dà modo all'agenzia delle Entrate di fornire ulteriori chiarimenti in ordine alle circostanze che consentono di disapplicare la normativa cfc in base alla "seconda esimente (articolo 167, comma 5, lettera b), del Tuir).

Viene ribadito, in particolare, che i chiarimenti forniti con la risoluzione n. 63 del 28 marzo 2007 non sono suscettibili di estensione in via automatica, in quanto "sono frutto della valutazione di una pluralità di circostanze da riscontrare caso per caso".

La dimostrazione che la partecipata estera subisca annualmente una imposizione sul reddito in misura superiore al 27 per cento dell'utile lordo, cui l'istanza fa riferimento, non è condizione sufficiente a soddisfare i requisiti previsti dall'articolo 167, comma 5, lettera b), Tuir (cfr, sul punto, la risoluzione n. 262 del 21 settembre 2007).

La disapplicazione dell'articolo 89, comma 3, Tuir

La risoluzione in commento dà anche, seppure incidentalmente, una precisazione interessante con riferimento alla disapplicazione della disciplina di cui all'articolo 89, comma 3, del Tuir.

La precisazione riguarda il rapporto esistente tra la "seconda esimente" cfc e la disapplicazione della integrale tassazione dei dividendi provenienti da Paesi black list.

Sia l'articolo 167, comma 5, lettera b), sia l'articolo 89, comma 3, possono essere disapplicati qualora il contribuente riesca a dimostrare che dal possesso delle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Paesi a fiscalità privilegiata.

Mentre le modalità con cui può essere fornita sono identiche, il contenuto della prova contraria è parzialmente diverso: ai fini della detassazione dei dividendi, infatti, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati non deve essere stato conseguito "sin dall'inizio del periodo di possesso" delle partecipazioni, mentre, ai fini della normativa cfc, è sufficiente che tale effetto non si verifichi nell'anno per il quale viene chiesta la disapplicazione.

La diversità delle due disposizioni è sottolineata dalla risoluzione n. 288/E, in cui si afferma che, a prescindere dalle considerazioni svolte in ordine all'applicabilità della lettera b), l'istante non può beneficiare della detassazione dei dividendi perché dal momento della sua costituzione - e fino a tutto il 2000 - la controllata svizzera ha beneficiato di un regime agevolato.

NOTE

1. Anche se la Corte di giustizia della Ue ha di recente affermato la liceità delle scelte imprenditoriali dei soggetti stabiliti in uno Stato membro, motivate da considerazioni esclusivamente fiscali, a condizioni che non diano vita a costruzioni puramente artificiose (sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes).

2. La tesi è stata sostenuta, in particolare, da Sandulli. Al riguardo, si ricorda che la teoria "pubblicistica" di Sandulli viene contestata da chi, come Virga, aderisce alla "teoria negoziale" dell'atto amministrativo, secondo la quale gli atti amministrativi sarebbero sempre provvedimenti, e dunque, l'unica distinzione possibile sarebbe quella tra provvedimenti-negozio e provvedimenti-atti giuridici.

Fonte: Agenzia Entrate

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