Generale inquadramento degli enti locali tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito
Le lettere b) e c) dell’articolo 73 del Tuir annoverano, tra i soggetti passivi Ires, rispettivamente, gli enti pubblici (e privati) economici e quelli che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali e non v’è dunque dubbio che tra tali soggetti rientrino anche gli enti pubblici territoriali.
Il successivo articolo 74 dispone, da una parte, che tali enti non sono soggetti all’imposta (comma 1) e, dall’altra, che per i soggetti stessi non costituiscono esercizio dell’attività commerciale le funzioni statali e, in genere, l’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie svolte da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine comprese le aziende sanitarie locali (comma 2).
Già da una prima lettura dei due commi si deve dedurre che l’esclusione ovvero l’esenzione dall’applicazione del tributo personale riguarda esclusivamente l’esercizio di funzioni statali e le altre attività svolte in via istituzionale e, più precisamente, le attività previdenziali, di assistenza sociale, mutuo soccorso, beneficenza, di istruzione, studio e sperimentazione di interesse generale, eccetera, con conseguente imponibilità degli altri redditi eventualmente posseduti.

Dal combinato disposto delle predette norme si evince che il legislatore ha voluto considerare gli enti pubblici territoriali enti passivi d’imposta ai fini Ires escludendoli, tuttavia, dall’applicazione del tributo personale limitatamente alle attività statali e, in genere, a quelle istituzionali, prevedendo, infine, alcune agevolazioni in funzione della tipologia di reddito prodotto; agevolazioni che appaiono incompatibili se riferite a soggetti esclusi dall’applicazione di un tributo.
E’ evidente come, almeno sul piano letterale, le norme predette appaiano contraddittorie giustificando in pieno i dubbi dell’interprete, il quale – tuttavia – non può esimersi da un impegno ermeneutico forte, atteso che la questione non è un mero esercizio di stile, perché l’eventuale assoggettabilità degli enti locali all’Ires non si esaurisce in una “partita di giro” (gli enti locali versano l’Ires allo Stato, il quale gliela restituisce sotto forma di trasferimenti agli stessi), ma rientra in una ampia operazione redistributiva. Con l’Ires, in tal modo, gli enti locali “più ricchi” sostengono maggiormente l’onere a carico dello Stato, il quale – a sua volta – provvederà a redistribuire le ricchezze in base ai bisogni e alle opportunità e, quindi, non meramente restituendo agli enti elargitori quanto dagli stessi versato, con questo attenuando gli scompensi che un’ottica federalista (in senso fiscale) potrebbe creare.
Né, d’altro canto (se si supera la concezione del tributo come “manifestazione di sovranità”, almeno nella sua originaria concezione), vi "sono ostacoli logico-giuridici ad ammettere che “soggetti passivi” del tributo possano essere anche lo Stato od altri enti pubblici, ed al limite, lo stesso soggetto normativamente indicato come “soggetto attivo”: il momento “impositivo” si esaurisce invero sul piano normativo (nella legge o, nei limiti dell’elasticità della riserva, nel regolamento); né è inconcepibile l’esercizio di poteri amministrativi nei confronti di organi della pubblica amministrazione" (da FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2003).

Soggettività passiva degli enti locali come attuazione del principio costituzionale di cooperazione fra i soggetti componenti la Repubblica nella riforma del titolo V della Costituzione ed effetto redistributivo dell’affermazione di tale soggettività
Da tali constatazioni deriva che qualora l’ente locale non dovesse considerarsi soggetto passivo d’imposta per i redditi prodotti nello svolgimento di quelle attività svolte secondo, ad esempio, operazioni tipiche d’impresa, il mancato gettito genererebbe danni nei confronti degli altri enti locali destinatari di parte delle entrate tributarie incamerate dallo Stato.
L’attribuzione della veste di soggetto passivo d’imposta all’ente locale – con conseguente imponibilità dei redditi prodotti – non è affatto incompatibile con l’esigenza di finanziare le spese pubbliche di cui all’articolo 53 della Costituzione.
Va, infatti, ormai superata la visione centralista dello Stato che pretende di far coincidere lo Stato-ordinamento con lo Stato-persona e che non è più aderente al nuovo assetto costituzionale, così come risultante dalle modifiche apportate alla Costituzione dalla legge costituzionale n. 3/2001. Questa ha profondamente modificato il Titolo V, ponendo sullo stesso piano i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e lo Stato come enti personificati che compongono la Repubblica italiana; il tutto in linea con la riforma federalista in atto nel nostro Paese.
Il nuovo Titolo V della Costituzione, nel suo disegno federalista, chiude il cerchio collegando ancor più chiaramente la funzione tributaria delle politiche redistributive, conferendo cioè l’esigenza di tutelare questa ampia gamma di diritti sociali e di finanziarli con uno strumento tributario generale.
Nel previgente assetto costituzionale la potestà normativa tributaria delle regioni e degli altri enti locali minori risultava, infatti, estremamente sacrificata "e ciò in quanto agli enti territoriali minori, mancava nella Costituzione una esplicita autonomia tributaria (nonostante i timidi accenni degli artt. 5 e 128)" (da PERRONE, La sovranità impositiva tra autonomia e federalismo).
In tal senso, si può cogliere una tendenza evolutiva comune a tutti i Paesi dell’Unione europea, orientata non già verso un federalismo politico, ma verso un crescente federalismo fiscale.

Occorre peraltro rilevare che non tutte le spese pubbliche sono finanziate dal solo Stato. Anche gli altri enti pubblici territoriali concorrono, infatti, a realizzare le spese pubbliche attraverso sia tributi propri e addizionali alle imposte statali che somme trasferite dallo Stato stesso. Sotto tale profilo, invero, le imposte pagate dall’ente pubblico-impositore non sempre rappresentano una semplice “partita di giro”, ma in numerosi casi producono un effetto redistributivo tra i vari soggetti attivi d’imposta. E tale evenienza appare aderente al nuovo assetto federalista così come congegnato dalla legge costituzionale n. 3/2001.

Obbligo di presentazione della dichiarazione sui redditi
D’altro canto, che l’esclusione da Ires prevista in via generale dall’articolo 74, comma 1, del Tuir, non comporti la totale esclusione dalla soggezione all’imposta sul reddito, emerge anche da ulteriori elementi strumentali.
A tale riguardo, basta citare la circostanza per cui anche gli enti locali presentano la dichiarazione dei redditi, secondo quanto ribadito anche dalla circolare n. 48/2001.

Redditi dei terreni e dei fabbricati
A rafforzare tale convincimento, vi è, inoltre, la disposizione contenuta nell’articolo 5 del Dpr n. 601/1973, la quale prevede l’esenzione dall’imposta sui redditi dei terreni e dei fabbricati dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e dei relativi consorzi destinati a usi o servizi di pubblico interesse. Analoghe agevolazioni sono contenute nei successivi articoli 5-bis e 6.
Ai sensi dell’articolo 5 del Dpr 601/1973, infatti, "I redditi dei terreni e dei fabbricati appartenenti allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni e ai relativi consorzi, destinati ad usi o servizi di pubblico interesse, sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche o dalla imposta locale sui redditi", il che – a contrario – fa desumere che – qualora non siano destinati a usi o servizi di pubblico interesse – tali beni siano suscettibili di reddito per l’ente proprietario.

Redditi di capitale
Per quanto attiene ai redditi di capitale va preliminarmente ribadito che le ipotesi di ritenute a titolo di imposta non configurano casi di imposte sostitutive in senso proprio, ma mantengono fermi i presupposti dell’imposta originaria ai quali sovrappongono particolari modalità di riscossione del tributo.
Da questo consegue una ulteriore dimostrazione dell’idoneità degli enti pubblici territoriali a essere qualificati soggetti passivi d’imposta, fornita dalla circostanza che le ritenute sui redditi di capitale di cui ai commi da 1 a 3-bis dell’articolo 26 del Dpr n. 600/1973 devono essere applicate anche “nei confronti dei soggetti esenti dall’Irpeg (ora Ires) e in ogni altro caso”.
Con la norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 14 della legge n. 28/1999, si è statuito che la ritenuta di cui trattasi deve essere applicata anche ai soggetti esclusi dall’imposta personale.
Quindi, gli enti di cui all’articolo 74, comma 1, del Tuir, sono soggetti all’imposta sul reddito, relativamente agli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti.

In base al consolidato principio giurisprudenziale, infatti, "In tema di imposte sui redditi, la l. 18 febbraio 1999, n. 28, art. 14, secondo il quale il d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 26, comma 4, terzo periodo, – riguardante la ritenuta a titolo di imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti – deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’IRPEG, costituisce norma di interpretazione autentica e, quindi, per la sua efficacia retroattiva, si applica anche ai rapporti non ancora definiti, senza che ciò possa dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 101 e 108 Cost. Ne consegue che alla anzidetta ritenuta sono assoggettati anche gli enti esclusi dall’IRPEG in virtù del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 88, come modificato dal d.l. 31 ottobre 1990, n. 310, art. 4, comma 3-bis, convertito in l. 22 dicembre 1990, n. 403".

Inconferenza della presunta distinzione tra soggetto esente e soggetto escluso
La Corte di cassazione, con sentenza n. 11658/2001, ha precisato che "tanto la disposizione di cui al terzo periodo del quarto comma dell’art. 26 del d.p.r. n. 600/1973, là dove prevede che la ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti di obbligazioni e titoli similari è effettuata “a titolo di imposta” nei confronti dei soggetti “esenti” dall’IRPEG, quanto la norma, di identico tenore, recata dal terzo periodo del quinto comma dell’art. 27 del d.p.r. citato in tema di disciplina della ritenuta sui dividendi, devono intendersi – come da interpretazione autentica contenuta nell’art. 14 della l. 18 febbraio 1999, n. 28 – nel senso che esse concernono anche i soggetti “esclusi” dall’IRPEG" (la Suprema corte ha quindi affermato la sostanziale eguaglianza tra i termini “esenti” ed “esclusi” utilizzati dal legislatore tributario con riferimento agli enti in parola).

Risparmio gestito
Nello stesso senso va ricordato l’articolo 7 del Dlgs n. 461/1997 che disciplina il regime tributario applicabile ai redditi di capitale e diversi conseguiti, nell’ambito delle gestioni individuali di portafoglio, da parte delle persone fisiche non esercenti attività produttive di redditi d’impresa o comunque relativamente a beni non relativi all’impresa, dei soggetti Irpeg esenti ed esclusi dalla relativa imposta, dalle società semplici e dei soggetti a esse equiparati, nonché degli enti non commerciali.
L’imposta si applica su ciascun reddito di capitale o diverso conseguito nell’ambito di una gestione patrimoniale. In particolare, l’articolo 7, comma 1, attribuisce ai soggetti che hanno conferito a un gestore abilitato l’incarico di gestire masse patrimoniali, costituite da somme di denaro o da beni non relativi all’impresa, la facoltà di optare per l’applicazione, da parte del gestore medesimo, dell’imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento sul risultato maturato sulle gestioni individuali di portafoglio, comprensivo sia dei redditi di capitale di cui all’articolo 41 (ora 44) del Tuir, che dei redditi diversi di cui all’articolo 81 (ora 67), comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies) del Tuir e, quindi, con esclusione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate e dei proventi relativi alle masse patrimoniali appartenenti ai fondi comuni di investimento – sia aperti che chiusi, sia mobiliari che immobiliari – alle Sicav e ai fondi pensione.

E’ facile rilevare come la norma presenti un carattere oggettivo e dispone l’imponibilità dei proventi in commento nei confronti della generalità dei soggetti passivi d’imposta, nessuno escluso. Tale disposizione è coerente con quanto previsto dall’articolo 3, comma 160, lettera g), della legge delega n. 662/1996 in tema di imposizione applicabile ai redditi di capitale e diversi conseguiti nell’ambito delle gestioni individuali di portafoglio da parte di soggetti non esercenti attività d’impresa, ivi inclusi i soggetti esenti ed esclusi.
Una conferma sulla validità della tesi appena esposta è stata fornita dall’Amministrazione finanziaria, la quale ha precisato che tra i soggetti ai quali risulta applicabile l’imposta rientrano anche quelli esenti da Irpeg (ora Ires). V’è da ritenere che tra i soggetti ai quali si deve operare l’imposta sostitutiva debbano essere annoverati anche quelli esclusi ancorché, come già precisato, sia ragionevole supporre che la disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 74 del Tuir abbia natura di esenzione e non già di esclusione; non vi sarebbe, invero, alcuna giustificazione sul piano logico-mentale ritenere applicabile la ritenuta in argomento nei confronti di soggetti esenti e non anche quelli esclusi. Tale tesi è peraltro in linea con la circolare del ministero del Tesoro n. 11/1993, secondo cui l’imposta sostitutiva, al pari della ritenuta a titolo d’imposta, "prescinde dalla soggettività passiva dell’ente rispetto all’IRPEG".

Relazione alla legge delega n. 825/1971
Pare il caso di precisare, inoltre, che l’inclusione dello Stato e degli altri pubblici territoriali nella imposizione diretta è espressamente presente nella relazione Usellini, nella quale si ricorda che le disposizioni della legge delega n. 825/1971 impongono la tendenziale eccezionalità di norme esonerative.
Sempre ricordando la citata relazione, si legge che la disposizione dello schema di testo unico, in ordine alla eventualità di un esonero dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali dalle imposte sui redditi, avrebbe prestato il “fianco” a eccezioni di legittimità costituzionale; discriminazione certamente non giustificata dalla carenza dello scopo lucrativo rispetto ad altri soggetti che, ancorché non caratterizzati da finalità pubblicistiche in modo così incisivo, non potevano, tuttavia, per norme statutarie, se non addirittura di legge, perseguire finalità di lucro. Ne deriva, quindi, che qualora dovessero ravvisarsi, nei confronti degli enti in parola, le fattispecie reddituali di cui all’articolo 143 del Tuir e ove il conseguente possesso non fosse da ascrivere tra le attività istituzionali, i redditi stessi dovranno essere assoggettati a imposta. Per la determinazione del reddito dovrà naturalmente farsi riferimento alla relativa categoria.

Concorrenza sleale, aiuti di Stato nel diritto costituzionale e comunitario
Si deve tenere presente pure l’effetto distorsivo del mercato – segnalato dalla Corte di giustizia CE (cause nn. C231/87 e C128/88) ¬– che l’attività svolta a titolo oneroso dagli enti locali (anche pubblicistica) possa produrre. In altre parole, atteso l’attuale momento di deregulation delle attività pubbliche che, in alcuni casi possono essere delegate a privati, viene introdotto dalla Corte un nuovo canone interpretativo che esenta dall’assoggettamento a imposizione l’attività svolta dall’ente, qualora questa esenzione non crei distorsioni di mercato. In estrema sintesi, l’attività svolta a titolo oneroso può essere considerata non soggetta a imposizione quando viene svolta nell’esercizio del potere-dovere istituzionale e in regime di monopolio, quando cioè la stessa attività non possa essere svolta anche da soggetti di diritto privato.
In tale ottica, le attività degli enti pubblici non sono assoggettabili a imposizione quando essi agiscano nella loro veste di pubblica autorità in quanto soggetti di diritto pubblico, mentre sono assoggettate a tributo quando l’ente agisca come soggetto di diritto privato.

Si deve precisare pure che una diversa interpretazione sarebbe senz’altro tacciabile di incostituzionalità per violazione del combinato disposto degli articoli 2, 3, 10 (che recepisce l’ordinamento comunitario) e 41 della Costituzione, poiché l’asserita esclusione soggettiva ai fini dell’imposta sul reddito, anche per le attività di diritto comune, comporta ineluttabilmente una inaccettabile differenziazione tra soggetti economici con intollerabili conseguenze in tema di concorrenza sleale.
Inoltre, tale conclusione, costituisce principio aderente alla normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato.
Tali principi, vincolanti per i Paesi appartenenti all’Unione europea, sono posti a tutela della concorrenza che costituisce un fondamentale principio dell’Ordinamento comunitario, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del Trattato che stabilisce infatti che si deve realizzare “un’economia di mercato aperta e di libera concorrenza”.
Sempre in tema di diritto comunitario non va inoltre dimenticato che, ai sensi dell’articolo 4, n. 5, della VI direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/Cee, “gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche Autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”.

Conclusioni
In definitiva, nessuna disposizione particolare vieta al legislatore tributario di effettuare il prelievo sui redditi prodotti dallo stesso soggetto attivo d’imposta.
Si deve ritenere che, pur in assenza di una disposizione di carattere generale, l’attribuzione della veste di soggetto passivo d’imposta può ragionevolmente desumersi da una serie di norme che, come si è già precisato, prevedono l’esenzione dall’imposta sui redditi fondiari, ovvero la riduzione dell’imposta personale per determinate attività di pubblica utilità; elementi, questi, che dimostrano l’attitudine dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali alla contribuzione purché, ovviamente, ne esistano i presupposti. Da tale constatazione consegue che a maggior ragione le regioni, province, comuni e camere di commercio sono assoggettate alle imposte erariali (da MICHELI, Corso di diritto tributario).
La norma contenuta nell’articolo 88 (ora 74) del Tuir "conferma che il sistema non è impostato in termini soggettivi, ma oggettivi, e le attività economiche esercitate dallo Stato sono sempre tassabili, salvo specifiche esenzioni" (da FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 1999).

Come si è già osservato, l’articolo 74 del Tuir stabilisce che gli enti di cui trattasi non sono soggetti all’applicazione dell’imposta personale. Si è altresì precisato che la stessa norma dispone, al suo successivo comma, che non costituisce attività commerciale l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici e quelle relative ad attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, ivi incluse le aziende sanitarie locali.
Dalla lettura della riportata norma si evince chiaramente come il legislatore tributario non abbia previsto nei confronti degli enti locali una ipotesi di esclusione (o di esenzione) di “principio”.
In tal caso, infatti, la successiva disposizione “chiarificatrice” (secondo la quale non costituiscono attività commerciali quelle “istituzionali”), sarebbe incomprensibile e priva di logica. Non si comprenderebbe, in altri termini, per quale motivo il legislatore, da una parte, avrebbe escluso i suddetti enti dall’ambito di applicazione del tributo per poi precisare che non costituisce attività commerciale, e quindi imponibile, quella svolta per fini istituzionali. E’ di tutta evidenza che, se fosse stata reale intenzione del legislatore escludere i soggetti in parola dal novero dei soggetti passivi, ogni successiva precisazione sarebbe risultata non coerente in quanto superflua.

L’articolo 74 del Tuir contiene due disposizioni la cui portata è assolutamente differente, come precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria con circolare n. 244/1999. La norma in commento prevede – verificandosi, come si è visto, l’ipotesi di cui al comma 2 dell’articolo 74 del Tuir – un caso di esenzione e non quindi, giova ribadirlo, di esclusione. Tali ultime attività sono quelle poste in essere dagli enti in parola nella loro qualità di pubblica autorità riconducibili, quindi, ad atti e provvedimenti formali tipici delle autorità sia centrali che locali preposte alla cura degli interessi dei consociati (certificazioni per l’anagrafe, stato civile, polizia locale, vigilanza, autorizzazioni, servizio sanitario nazionale, eccetera).
Si deve quindi concludere che l’interpretazione da attribuirsi al comma 1 del richiamato articolo 74 sia quella di esonerare (e non di escludere) dal pagamento dell’imposta personale gli enti locali solo per quanto attiene alle attività istituzionali esercitate, mentre, per le ipotesi che non vi rientrano, si applicano le rispettive norme all’uopo previste.


Fonte: Domenico Riccio - Agenzia Entrate.

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