Per il corretto trattamento fiscale del corrispettivo pagato dal subentrante in un contratto di leasing, occorre prima di tutto determinare il valore normale del bene al netto dei canoni residui e del prezzo di riscatto attualizzati. Tale ammontare rappresenta per il cessionario un costo sospeso da ammortizzare a partire dal periodo d'imposta in cui è esercitato il riscatto. L'eventuale somma versata in più rispetto al valore normale "netto" costituisce una spesa relativa a più esercizi, deducibile nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio lungo la durata del contratto. In sintesi è il contenuto della risoluzione n. 212/E.

L'agenzia delle Entrate ha così individuato le regole applicabili al costo del subentro in contratto di locazione finanziaria, alla luce delle norme del Tuir che espressamente disciplinano solo la deducibilità dei canoni di leasing.

I tecnici dell'Amministrazione sono partiti dal riconoscimento di una doppia causa nell'acquisizione del contratto di leasing: il conseguimento sia del diritto di godimento del bene nel residuo periodo di vigenza del contratto medesimo, sia dell'opzione di acquisto della proprietà dello stesso.

A questo punto, fulcro della questione è la "quantificazione" delle due componenti.

Nella difficoltà di una loro misurazione oggettiva, l'istante aveva ritenuto accettabile dividere esattamente a metà il corrispettivo pattuito per il subentro, considerando le due parti di pari importo, rispettivamente, un onere pluriennale da ripartire sulla residua durata del contratto medesimo e un acconto per il futuro riscatto, da ammortizzare insieme al riscatto stesso.

L'agenzia delle Entrate ha chiarito che una tale "salomonica" soluzione non è accettabile. Il corrispettivo può considerarsi, infatti, un anticipo del prezzo del bene solo nella misura in cui lo stesso importo costituisca una sopravvenienza attiva per il cedente del contratto, che, norma alla mano (l'articolo 88, comma 5, del Tuir), assoggetta a tassazione a tale titolo il valore normale del bene al netto dei canoni residui e del prezzo di riscatto attualizzati alla data di cessione. L'eventuale ulteriore differenza positiva è da considerare, quale onere sostenuto per il subentro nel godimento del bene, un costo deducibile in rapporto alla residua durata del contratto (articolo 108, comma 3, del Tuir).

Perciò, riepilogando, il valore normale del bene, al netto dei canoni residui e del prezzo di riscatto attualizzati, costituisce:

per il cedente, una sopravvenienza attiva

per il cessionario, un costo sospeso che va aggiunto al valore del bene iscritto nell'attivo patrimoniale al momento del riscatto, a formare la base da prendere a riferimento per l'ammortamento. Nel caso l'opzione per il riscatto non dovesse, invece, essere esercitata, il costo diverrebbe integralmente spesabile nel periodo d'imposta in cui diviene certa l'insorgere della insussistenza.

L'eventuale ulteriore somma pagata:

per il cedente, rappresenta un componente positivo di reddito, imponibile in base al generale principio di derivazione

per il cessionario, costituisce una spesa relativa a più esercizi, deducibile nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio lungo la residua durata del contratto.

Da rimarcare che, relativamente al caso in questione, essendo stato il corrispettivo pattuito per la cessione del contratto di locazione finanziaria "quantificato quale differenza tra il valore normale attribuito dalle parti all'immobile e l'ammontare della quota capitale compresa nei canoni ancora da pagare oltre al prezzo di riscatto", lo stesso va integralmente considerato, ai fini fiscali, come costo sospeso, da ammortizzare a decorrere dal periodo d'imposta in cui il diritto di riscatto sarà esercitato.

0 commenti:

 
Top