Disciplina generale comunitaria

In ambito IVA, la procedura di autofatturazione (o “inversione contabile” o “reverse
charge”) è concettualmente legata al tema della individuazione del soggetto tenuto al
pagamento dell’imposta, nonché all’adempimento degli obblighi (fatturazione, registrazione,
etc.) connessi all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini IVA.
In termini generali, l’imposta è di norma dovuta dal soggetto passivo che effettua
l’operazione imponibile. In deroga al predetto principio, l’art. 194 della Direttiva
comunitaria n. 2006/112/CE, attribuisce agli Stati membri la facoltà di individuare
quale debitore dell’imposta il cessionario del bene o il beneficiario della prestazione
in relazione alle cessioni o prestazioni effettuate da un soggetto passivo residente in
uno Stato diverso rispetto a quello ove l’operazione si considera effettuata.
Non solo, ma relativamente a taluni servizi (relativi a diritti d’autore, brevetti, licenze,
marchi; prestazioni pubblicitarie, consulenza e assistenza tecnica o legale, operazioni
bancarie, finanziarie, assicurative, locazione di beni mobili materiali,eccettuati
i mezzi di trasporto, servizi di telecomunicazioni, radiodiffusione e televisione etc.) è
prevista l’obbligatorietà dell’inversione contabile. In altre parole, il soggetto tenuto
all’adempimento di fatturazione è in ogni caso il committente del servizio,
quand’anche il prestatore non residente sia già identificato ai fini IVA nello Stato di
effettuazione dell’operazione.
Quanto alle cessioni intracomunitarie ed alle importazioni, il tema dell’inversione
contabile si pone in termini diversi: in sintesi, può tuttavia evidenziarsi come in detti
casi gli obblighi di applicazione dell’imposta ricorrano, rispettivamente, in capo al
cessionario ovvero sul soggetto importatore.

L’autofattura nell’ordinamento italiano

Servizi internazionali (art. 17, comma 3 D.P.R. 633/1972)
Sul piano della normativa interna, l’istituto dell’inversione contabile trova disciplina
nell’art. 17, commi 3 e ss, del D.P.R. 633/1972. Una prima ipotesi di reverse charge è connessa alle operazioni internazionali. Il legislatore
italiano ha recepito la disposizione comunitaria sopra citata subordinando
l’applicabilità dell’inversione contabile ad una serie di condizioni. Secondo l’art.
17, comma 3 D.P.R. 633, infatti, gli obblighi concernenti le operazioni poste in essere
nel territorio dello Stato da soggetti non residenti sono adempiuti dal beneficiario
(cessionario o committente) qualora i primi (a) non si siano identificati mediante
dichiarazione all’Ufficio IVA competente a norma dell’art. 35-ter e (b) non abbiano
nominato un rappresentante fiscale in Italia secondo le modalità indicate dallo
stesso articolo 17.
L’istituto in esame trova un limite – con conseguente “ritorno” allo schema classico,
secondo il quale soggetto obbligato è colui che effettua l’operazione rilevante ai fini
IVA – con riguardo alle operazioni poste in essere da o nei confronti di stabili organizzazioni
in Italia di soggetti residenti all’estero (art. 17, comma 4, D.P.R.
633/1972).
Sul piano degli adempimenti formali, quanto appena rilevato si traduce nell’obbligo,
per il committente, di emettere la fattura, in unico esemplare, contenente tutte le
indicazioni di cui all’art. 21 del D.P.R. n. 633/72. Detta fattura dovrà poi essere annotata
su entrambi i registri IVA(“vendite” ed “acquisti”), con conseguente sostanziale
neutralità dell’operazione.

Acquisti intracomunitari (art. 46 del D.L. n. 331/1993).
Nel caso di acquisti intracomunitari effettuati in Italia da soggetto ivi residente, quest’ultimo
è tenuto ad “integrare”la fattura ricevuta dal suo dante causa (cedente
comunitario), con l’indicazione dei dati necessari alla determinazione della base
imponibile e dell’imposta: teoricamente, la fattura rilevante è dunque quella di fonte
estera, sicchè non dovrebbe parlarsi, nel caso di specie, di emissione di autofattura.
Tuttavia, per esigenze meccanografiche è consentito che l’integrazione della fattura
estera abbia luogo tramite emissione di un documento ex novo, con risultato sostanzialmente
analogo a quello della emissione di autofattura, di cui all’art. 17 del D.P.R.
633/1972. Del resto, tale documento – al pari dell’autofattura - dovrà essere registrato in
entrambi i registri IVA.

Cessioni di oro industriale e subappalti edilizi (art. 17, commi 5 e 6, D.P.R. 633/1972)
L’applicazione della procedura di autofattura è prevista anche per alcune operazioni
domestiche in materia di oro industriale, ovverosia:
· le cessioni poste in essere da soggetti che producono oro da investimento, trasformano
oro in oro da investimento ovvero commercializzano oro da investimento;
· le cessioni di materiale d’oro;
· le cessioni di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi.
Ai fini della esatta individuazione della nozione di “oro industriale” rileva principalmente
la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 168/E del 26 ottobre 2001,
secondo la quale è necessario fare riferimento all’oro “nella sua funzione industriale,
ossia di materia prima destinata alla lavorazione”.
Con il c.d. Decreto Bersani, la procedura dell’autofatturazione è stata estesa alla fattispecie
del subappalto in campo edilizio, e, segnatamente, alle prestazioni di servizi
rese dal subappaltatore a favore:
(a) delle imprese che effettuano costruzioni o ristrutturazione di immobili,
(b) dell’appaltatore principale, ovvero
(c) di un altro subappaltatore.
Anche in relazione al settore edilizio, è tempestivamente intervenuta una circolare
dell’Agenzia delle entrate, che ha dettato le linee-guida per l’applicazione del meccanismo
di inversione, delineando l’ambito oggettivo di applicazione della normativa e
specificando quali fattispecie contrattuali debbano ritenersi estromesse dalla stessa.
Secondo il parere dell’Agenzia:
· per la definizione di “settore edile”, contenuta nel D.L. 223/2006, è necessario fare
riferimento alla sezione “F” della tabella di classificazione delle attività economiche
Atecofin (2004);
·
sfuggono all’applicazione del reverse charge le prestazioni rese direttamente, in
base a contratti d’appalto, ad imprese di costruzione o ristrutturazione;
· i servizi resi in forza di contratti d’opera (ovverosia, contratti nei quali l’attività
personale del prestatore prevale sull’organizzazione dei mezzi necessari per l’effettuazione
del servizio) sono attratti dalla disciplina dell’art. 17, comma 5, D.P.R.
IVA. Sono in ogni caso escluse dal reverse charge le prestazioni d’opera intellettuale
rese da professionisti (le quali, per loro natura, non sono definibili come “prestazioni
di manodopera” e, peraltro, esorbitano dalla ratio della disciplina, che fa
riferimento ad attività che si concretano in apporti materiali);
· sono esclusi dalla disciplina i contratti di noleggio di macchine e attrezzature per
la costruzione o per le demolizione di fabbricati.
Sia per le cessioni di oro industriale che per i subappalti edilizi l’emissione della fattura
è operata dal cedente senza applicazione dell’IVA, con l’indicazione “Fattura
emessa senza addebito IVAex art. 17, comma 6, D.P.R. 633/1972”.
Successivamente, il cessionario è tenuto ad integrare la fattura con indicazione dell’aliquota
e della relativa imposta. Detto documento è annotato contestualmente su
entrambi i libri IVA, con (tendenziale) neutralità economico-finanziaria in capo all’emittente.
Quanto al contenuto dell’autofattura, tale documento rispecchia il contenuto
di un’ordinaria fattura.

Nuove funzioni dell’autofattura, quale strumento antifrode.
In chiave comunitaria, la procedura di autofattura è attualmente oggetto di un graduale
ampliamento, prevalentemente legato ad una spiccata funzione di strumento
antifrode. In tale veste, essa trova applicazione con riferimento a transazioni che
intervengono tra soggetti passivi residenti nel medesimo Stato membro, ed è tesa a
contrastare fenomeni di frode in cui:
a) Il cedente, una volta emessa la fattura con addebito dell’IVA, scompare senza
lasciar traccia, omettendo il pagamento dell’imposta indicata in fattura e
b) il cessionario – “di concerto” con il cedente, e quindi senza subire l’incisione della
rivalsa – si accredita l’importo dell’IVAindicata in fattura, chiedendone il rimborso
secondo la ordinaria dinamica applicativa dell’IVA.
Detto schema (al quale spesso ci si riferisce in termini di “Frode Carosello”) può presentarsi
secondo strutture e variazioni sul tema piuttosto complesse, talora molto
aggressive, con partecipazione di soggetti residenti in differenti Stati membri. Con riguardo a tali fattispecie si è osservato come proprio l’eliminazione dello
“sdoppiamento” tra emittente la fattura e destinatario della medesima possa sovente
costituire una valida barriera contro lo schema appena descritto.
In tale contesto si collocano le proposte aventi ad oggetto l’estensione della procedura
di autofattura, formulate dal Regno Unito di Gran Bretagna, nonché, congiuntamente,
da Austria e Germania.
Denominatore comune alle anzidette iniziative è stata – dal punto vista procedurale
– l’attivazione della procedura di cui all’attuale art. 395 della Direttiva 2007/112, ai
sensi del quale “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può
autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure particolari di deroga alla presente direttiva,
allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare alcune evasioni od elusioni
fiscali”.

La procedura di autofattura richiesta (ed ottenuta) dal Regno Unito di Gran Bretagna.
La Gran Bretagna, seguendo l’iter procedurale di cui al citato articolo 27 (1) della
Sesta direttiva, ha formulato una proposta ufficiale al Consiglio dell’Unione europea
- approvata con Decisione 2006/555 del 28 settembre 2006 - al fine di estendere
l’istituto dell’autofattura alla cessione di una serie di beni.
Tra i beni ai quali la richiesta si riferisce si segnalano:
· Telefoni cellulari
· Microprocessori
· CPU
· Memorie portatili (es. Memory Sticks, CD-Rom, SD Cards ecc)
· Computer palmari
· Dispositivi wireless
· Navigatori satellitari
· Videogiochi portatili e consoles
· Fotocamere digitali
· Lettori musicali e lettori DVD portatili
Il fenomeno di frode che si è inteso contrastare – come descritto nella documentazione
ufficiale - è esattamente nei termini sopra evidenziati, connesso pertanto alla erogazione
di rilevanti rimborsi d’imposta a favore di soggetti “acquirenti”, non controbilanciati
da alcun versamento dell’imposta da parte dei soggetti cedenti.
Nell’assicurare il proprio placet la Commissione ha constatato che il carattere di
“pagamento frazionato” tipico dell’IVA non sarebbe venuto meno in conseguenza dei
suesposti mutamenti normativi. La proposta del Regno Unito, infatti, non è generalizzata
bensì limitata ai beni che più si prestano all’attività illecita sopra descritta.
Infine, con decisione 2006/555 del 28 settembre 2006, il Consiglio ha autorizzato il
Regno Unito ad introdurre l’inversione contabile nelle cessioni dei suddetti beni. Ciò
con l’unica condizione della previsione di una soglia quantitativa: l’istituto può essere
infatti operativo esclusivamente per le cessioni rispetto alle quali la base imponibile
sia pari o superiore a 1000 sterline (circa 1.490,00 euro).

Le proposte di Austria e Germania.
Le proposte di Austria e Germania si caratterizzano, rispetto all’iniziativa britannica,
per la più ampia portata attribuita dagli istanti all’istituto dell’autofattura.
Con lettera del 27 ottobre 2005, l’Austria ha segnalato alla Commissione europea la
volontà di introdurre nel proprio ordinamento un sistema di autofatturazione per la
generalità delle cessioni di beni e prestazioni di servizi tra imprenditori (c.d.
“Business to Business” o “B2B”): ciò qualora, alternativamente, l’importo risultante
dalla singola fattura eccedesse i 10.000,00 euro ovvero le cessioni eccedessero complessivamente
l’importo di 40.000,00 euro, nel periodo d’imposta.
Dal punto di vista dello Stato austriaco, un tale ampliamento del reverse charge
avrebbe non solo contribuito alla repressione delle frodi, ma avrebbe determinato, in
aggiunta, un alleggerimento dell’attività della propria Amministrazione finanziaria,
altrimenti tenuta ad impegnative ispezioni e verifiche prima di poter concedere il
rimborso.
Nei medesimi termini si esprime la richiesta avanzata dalla Germania con lettera del
18 aprile 2006. Unico elemento distintivo è rappresentato dall’importo minimo della
singola fattura, individuato in 5.000,00 euro.
Si prevede, piuttosto, che prima di effettuare la cessione senza applicazione
dell’IVA, il cedente debba accertare, in via elettronica e telematica, il numero di partita
IVA del cessionario. La proposta prevede poi un ulteriore obbligo a carico del
cedente, consistente nel notificare elettronicamente all’Amministrazione finanziaria
tedesca ogni singola cessione non imponibile, specificandone il valore.
Quanto alle motivazioni ufficiali addotte a fondamento della richiesta, esse coincidono
con quelle indicate dall’Austria, rinvenibili nella (i) eliminazione dei presupposti per la perpetrazione di frodi a danno dell’Amministrazione finanziaria e nella
(ii) semplificazione dell’attività della stessa.
Sennonché, con un’unica decisione, n. 2006/404 del 19 luglio 2006, la Commissione
ha rigettato le anzidette proposte ritenendo che le stesse, lungi dal prevedere procedure
semplificate, avrebbero eliminato una delle caratteristiche essenziali dell’IVA,
ovverosia il pagamento frazionato del tributo, e comportato, al tempo stesso, un
appesantimento delle procedure a carico delle Amministrazioni finanziarie degli
Stati richiedenti, con dispendio di ingenti risorse economiche.
Altro effetto “non gradito” è stato riscontrato nella situazione di incertezza che sarebbe
sorta a danno degli operatori economici, posti di fronte a tre diversi regimi IVA:
sistema “classico”, reverse charge per le operazioni B2B, procedura intracomunitaria.

La Direttiva comunitaria n. 2006/69 del 24 luglio 2006.
Nel frastagliato scenario appena delineato si colloca, con intento di razionalizzazione
e riordino, la recente Direttiva comunitaria n. 2006/69 del 24 luglio 2006, entrata
in vigore il 13 agosto 2006, emanata con l’obiettivo dichiarato di contrastare i fenomeni
di frode sin qui analizzati (le cui disposizioni sono ora state inglobate nella
citata Direttiva 2006/112/CE).
Al riguardo, da un lato viene confermata l’efficacia della procedura di autofattura
come principale strumento di contrasto allo schema di frode sin qui esaminato, dall’altro
il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno superare la metodologia
sinora seguita, consistente nella emanazione di singole decisioni - quale quella sopra
descritta, richiesta dal Regno Unito - preferendo un intervento di carattere generalizzato
attraverso lo strumento della Direttiva.
In particolare, la Direttiva 2006/69 ha abbattuto il sistema previgente, indicando
un’ampia lista di decisioni da ritenersi abrogate a far data dal 10 gennaio 2008.
E’stato altresì evidenziato come il tema delle frodi possa atteggiarsi in misura diversa
nei singoli Stati, sicché l’applicazione della Direttiva potrà essere in qualche misura
modulata a seconda delle specifiche esigenze.
E’ inoltre auspicato, per finalità di trasparenza, il coordinamento legislativo tra gli
Stati: essi dovranno, attraverso il Comitato consultivo IVA, informarsi reciprocamente
circa i mutamenti normativi interni conseguenti all’implementazione della
Direttiva.
Per altro verso, è stabilito un obbligo di informativa, in capo ai singoli Stati, nei confronti
della Commissione, relativamente agli emanandi provvedimenti di implementazione.
Tanto premesso, la normativa in esame dispone che “gli Stati membri possono stabilire
che il debitore d’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate”:
· prestazioni dei servizi di costruzione e messa a disposizione del personale per le
relative attività;
· cessioni di fabbricati, di frazioni di fabbricato o del suolo ad essi attiguo;
· cessioni di materiali di recupero, di materiali di scarto industriali e non industriali,
di materiali di scarto riciclabili;
· cessioni di beni concessi in garanzia da un soggetto passivo ad un altro soggetto
passivo in esecuzione della garanzia medesima;
· cessioni di beni successive alla cessione del diritto di riserva di proprietà ad un
cessionario che esercita tale diritto;
· cessione di immobili in una vendita giudiziale al pubblico incanto da parte di un
debitore giudiziario.
Spazio all’autonomia dei singoli Stati è stato garantito attraverso il disposto del
comma II del medesimo articolo, ai sensi del quale essi“…possono specificare le cessioni
di beni e le prestazioni di servizi contemplati e le categorie di prestatori, cedenti o destinatari
cui tali misura possono applicarsi”.

Recenti modifiche alla normativa domestica
Tornando sul versante italiano, la legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre
2006, n. 296), contiene una serie disposizioni per l’implementazione della citata
Direttiva n. 2006/69/EC.
E’opportuno sottolineare come le tipologie di cessioni e prestazioni definite in sede
comunitaria non siano state puntualmente ricalcate dal legislatore nazionale il quale
ha scelto di ampliare la gamma di operazioni da assoggettare ad inversione contabile,
sottoponendo tuttavia l’effettiva applicazione di tale disciplina alla condizione
dell’autorizzazione comunitaria.
I commi 44 e 45 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 hanno sancito l’applicazione del
reverse charge alle seguenti operazioni (ora riportate nell’art. 17, comma 6, del D.P.R.
633/1972):
· cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico radiomobile terrestre di
comunicazioni e dei loro componenti ed accessori;
· cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori;
· cessioni di materiali e prodotti lapidei, provenienti direttamente da cave e miniere;
E inoltre prevista la possibilità di individuare, con appositi decreti, ulteriori operazioni
da sottoporre alla procedura del reverse charge.

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