Con la sentenza n. 7388 depositata il 27 marzo 2007, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione - risolvendo un conflitto negativo di giurisdizione, ex articolo 362, 2° comma, del cpc, tra il Tribunale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige e la Commissione tributaria di I grado di Trento - hanno affermato che le controversie relative al rifiuto dell’Amministrazione finanziaria di annullare in autotutela atti amministrativi sono devolute alla giurisdizione delle Commissioni tributarie.

Il nuovo intervento di legittimità porta nuovamente alla ribalta la lunga
querelle relativa alla giurisdizione da riservare alle controversie in tema di autotutela e consolida i principi già affermati dalle Sezioni unite della Cassazione nella precedente sentenza n. 16778 del 10 agosto 2005. Con tale intervento, i giudici di legittimità avevano già sancito che l’attribuzione al giudice tributario, da parte dell’articolo 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001 (modificativo dell’articolo 2 del Dlgs n. 546 del 1992 sul processo tributario), di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie, comportava che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela, in quanto incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, dovevano ritenersi devolute ratione materiae alla giurisdizione delle Ct (tale interpretazione è stata peraltro confermata dall’articolo 3-bis del Dl n. 203/2005, convertito con modificazioni dalla n. 248/2005, il quale ha integrato il comma 1 dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, aggiungendo la formula "comunque denominati" con riferimento ai tributi, riconoscendo alle Commissioni tributarie giurisdizione generale ed esclusiva in materia tributaria).

La controversia in esame è scaturita dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un diniego di autotutela relativo a un avviso di liquidazione (e successiva cartella di pagamento), con il quale l’ufficio aveva revocato i benefici fiscali per l’acquisto di terreni agricoli.
La commissione adita dichiarava, con sentenza, il proprio difetto di giurisdizione, osservando che l’esercizio del potere di autotutela, secondo l’articolo 68 del Dpr 27 marzo 1992, n. 287, e il decreto ministeriale 11 febbraio, n. 37, rientrava nell’ambito della discrezionalità amministrativa e non era ricompreso tra le ipotesi di atti impugnabili
ex articolo 19 del Dlgs 546/1992.

Veniva investito della questione anche il giudice amministrativo, il quale dichiarava, altresì, l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia in questione doveva essere devoluta alla giurisdizione del giudice tributario poiché, a seguito della modifica legislativa dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992 da parte dell’articolo 12 della legge 448/2001, spettavano alle Commissioni tributarie tutte le controversie relative a tributi di ogni genere e specie.

Da qui, il ricorso per cassazione del contribuente, il quale ha denunciato un conflitto negativo di giurisdizione.
L’Amministrazione finanziaria si è costituita in giudizio sostenendo la giurisdizione del giudice tributario e specificando che, dopo l’attribuzione allo stesso di tutte le controversie concernenti i tributi, ormai erano sottratti a tale giudice solo le controversie che non involgevano direttamente un rapporto tributario, come nel caso di impugnazione di un atto di carattere generale.

Le Sezioni unite, nella motivazione della sentenza, richiamando il proprio precedente (sentenza n. 16778/2005) mettono in evidenza che "
la natura discrezionale dell’autotutela tributaria non comporta la sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, la cui giurisdizione è ora definita mediante la clausola generale, per il solo fatto che gli atti di cui tale giudice si occupa sono vincolati".
Tale giudice naturale è rappresentato in modo inequivocabile dal giudice tributario, la cui giurisdizione è ormai divenuta, per effetto delle modifiche legislative, una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qualvolta la controversia abbia a oggetto uno specifico rapporto tributario. Tale devoluzione di giurisdizione, concernente la lesione di interessi legittimi, non è in contrasto con l’articolo 103 della Costituzione, il quale riconosce in tale ambito la giurisdizione degli organi di giustizia amministrativa per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Infatti, secondo una costante giurisprudenza costituzionale (
cfr, da ultimo, ordinanze n. 165 e n. 414 del 2001 e sentenza n. 240 del 2006), non esiste una riserva assoluta di giurisdizione sugli interessi legittimi a favore del giudice amministrativo, potendo il legislatore attribuire la relativa tutela ad altri giudici.

Secondo la Corte, però, il sindacato del giudice dovrà riguardare l’esistenza dell’obbligazione tributaria solo qualora l’atto di autotutela contenga tale verifica, mentre, in caso di giudizio instaurato contro il mero ed esplicito rifiuto di esercizio dell’autotutela, il giudice tributario non potrà entrare nel merito della questione, visto che il provvedimento di autotutela è pur sempre discrezionale per i limiti posti dall’articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E; in quest’ultima ipotesi, il giudice potrà esercitare soltanto un sindacato sulla legittimità del rifiuto per la sua rispondenza o meno all’interesse pubblico (decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37; l’articolo 3 del regolamento stabilisce che, nell’esercizio del potere di autotutela, deve essere data priorità "
alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso").
In caso contrario, ci sarebbe una indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa e un superamento dei limiti esterni della giurisdizione attribuita alle Commissioni tributarie.

Sulla base dei principi sopra enunciati, la Corte ha concluso affermando che, nel caso cui l’atto di rifiuto dell’annullamento d’ufficio contenga una conferma della fondatezza della pretesa tributaria, il giudice potrà escluderla. Mentre all’Amministrazione finanziaria non resterà che adeguarsi alla pronuncia della Commissione tributaria.
In difetto, potrà essere utilizzato il rimedio del ricorso in ottemperanza, di cui all’articolo 70 del Dlgs 546/1992.

Infine, per quanto concerne la riconducibilità dell’atto impugnato alle categorie indicate dall’articolo 19 del Dlgs 546/1992, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la problematica non attiene alla giurisdizione ma alla proponibilità della domanda; pertanto, sarà compito della Commissione tributaria verificare se l’atto in contestazione possa ritenersi impugnabile nell’ambito del suddetto articolo.
Secondo i giudici di legittimità, però, la mancata inclusione degli atti in contestazione nel catalogo contenuto nel citato articolo 19 comporterebbe un lacuna di tutela giurisdizionale e la violazione dei principi contenuti negli articoli 24 e 113 della Costituzione (analoga posizione era stata presa peraltro dalla Corte costituzionale nella sentenza del 6 dicembre 1985, n. 313, nella quale si precisa che la sindacabilità di un atto dinanzi al giudice tributario dipende dalla funzione assolta e dagli effetti prodotti e non dalla sua inclusione nell’articolo 19 sulla base del
nomen juris).

Fonte: Anna Paola Brocchetta Agenzia Entrate

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