La riforma del 2001, pur ampliando decisamente la giurisdizione delle Commissioni tributarie, non è arrivata ad includervi gli atti amministrativi generali, dei quali è consentita soltanto la disapplicazione. Pertanto, benché la delibera comunale con la quale vengono fissate differenti aliquote Ici per singole tipologie di immobili destinati a usi non abitativi costituisca il presupposto dell’accertamento e della quantificazione del tributo, la controversia su tale atto appartiene alla giurisdizione amministrativa e non a quella delle Commissioni tributarie.

Tanto ha affermato la Corte di cassazione a Sezioni unite nella sentenza n. 1616 depositata il 25 gennaio 2007.

Cenni sulla giurisdizione delle Commissioni tributarie

Senza voler qui approfondire le problematiche relative al riparto della giurisdizione tributaria rispetto a quella amministrativa e ordinaria, si rammenta come la novella apportata con l’articolo 12, comma 2, legge n. 448/2001 abbia completamente riscritto l’articolo 2 del Dlgs 546/1992 (successivamente ulteriormente ritoccato dall’articolo 3-bis del decreto legge 203/2005 aggiunto dalla successiva legge di conversione 248/2005), tanto da far assumere alla giurisdizione delle Commissioni tributarie carattere generale nella materia.

Si è passati, dunque, dal precedente sistema di determinazione analitica dei tributi affidati al giudice tributario a quello attuale incentrato sulla materia. Il comma 3 del citato articolo 2 riconosce, poi, al giudice tributario il potere di risolvere in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, con esclusione delle questioni in tema di querela di falso o di stato e capacità delle persone.

Per la determinazione della giurisdizione (o meglio per la individuazione dei cosiddetti limiti interni della giurisdizione) in capo alle Commissioni tributarie, è utile far riferimento all’elencazione fatta dall’articolo 19 in ordine ai tipi di atti impugnabili e ai poteri riconosciuti al giudice tributario, in particolare, nel caso che ci occupa, a quanto previsto nell’ultimo comma dell’articolo 7.

Dal tenore letterale dell’articolo art. 19 del Dlgs 546/1992, si rileva che possono essere impugnati innanzi alle Commissioni tributarie gli atti ivi espressamente indicati o quelli per i quali la legge preveda l’autonoma impugnabilità dinanzi alle Commissioni. Pertanto, la giurisdizione tributaria, generalizzata ratione materiae, realizzata a seguito della modifica dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, va adeguata al nuovo assetto della giurisdizione tributaria generale, con riferimento alla varietà dei nuovi tributi e all’evoluzione dei diritti del contribuente sempre, però, nell’ambito di rapporti tributari concreti.

Dunque, nonostante la norma di chiusura del sistema recata dal comma 3 dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992, in forza del quale gli atti diversi da quelli indicati non sono autonomamente impugnabili, è da ritenere che la tassatività degli atti elencati in seno a tale articolo non impedisca interpretazioni estensive delle categorie di atti indicati nella norma nel senso di valutare la intrinseca finalità perseguita dall’atto non limitandosi a un aspetto puramente formale basato sul semplice nomen juris. La stessa Cassazione ha affermato, nella sentenza n. 16776/2005, che le modifiche apportate dall’articolo 12, comma 2, legge 448/2001 hanno inevitabilmente inciso anche sull’articolo 19 nel senso che il "contribuente può rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta abbia interesse a contestare (art. 100 c.p.c.) la convinzione espressa dall’Amministrazione in ordine alla disciplina del rapporto tributario".

L’ultimo comma dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992 prevede, invece, che i giudici tributari, nel caso ritengano illegittimi regolamenti o atti generali rilevanti ai fini della controversia tributaria, possono solo richiederne la disapplicazione, fermo restando la impugnabilità degli stessi dinanzi al giudice amministrativo, secondo gli ordinari criteri di riparto della giurisdizione, similmente a quanto previsto anche nei confronti del giudice ordinario, il quale, ex articolo 5 della legge 2248/1865, allegato E, può soltanto disapplicare gli atti amministrativi e i regolamenti generali ritenuti illegittimi.

Nonostante la generalizzazione della giurisdizione nell’ambito tributario, la stessa non opera nel caso in cui non sia direttamente coinvolto un rapporto tributario ma venga impugnato invece un atto di carattere generale. Infatti, malgrado l’evoluzione legislativa degli ultimi anni, le Commissioni tributarie non sono mai state dotate del potere di annullamento degli atti generali dell’Amministrazione Pubblica e, pertanto, regolamenti e atti amministrativi generali in materia tributaria sono impugnabili davanti al giudice amministrativo in attuazione dei normali criteri di riparto della giurisdizione.

Conseguentemente, qualora gli effetti dell’atto amministrativo si ripercuotano sulla pretesa tributaria, il giudice, se riterrà tale atto illegittimo, lo disapplicherà limitatamente all’oggetto dedotto in giudizio. Il giudice tributario conoscerà di questi atti incidentalmente ed entro confini determinati ai soli fini della decisione della controversia, disapplicando, nella fattispecie, l’atto amministrativo ritenuto illegittimo e presupposto dell’atto impositivo eventualmente impugnato.

La decisione della Corte

Tornando alla sentenza in rassegna, una Spa impugnava innanzi al Tar, per violazione di legge ed eccesso di potere, la delibera di un Comune con la quale lo stesso fissava delle differenti aliquote Ici per singole tipologie di immobili destinati a usi non abitativi, ex articolo 6 del Dlgs n. 504/1992. Il Tar accoglieva il ricorso e il Consiglio di Stato respingeva il successivo appello azionato dall’ente locale. Quest’ultimo ricorreva in cassazione per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992 e per violazione e falsa applicazione dell’articolo 111, comma 8, della Costituzione. In particolare il comune sosteneva:

col primo motivo, che a seguito della intervenuta riforma attuata dall’articolo 12, comma 2, legge 448/2001, l’articolo 2 del Dlgs 546/1992 avrebbe esteso la giurisdizione delle Commissioni tributarie a tutte le controversie tributarie e anche a quelle riguardanti atti di carattere generale

col secondo motivo, che il giudice amministrativo avrebbe esorbitato la propria sfera giurisdizionale così invadendo il campo del merito riservato all’attività amministrativa.

La Corte, nel rigettare il ricorso dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo, ha così argomentato.

Quanto al primo motivo, ha escluso che la riforma del 2001 abbia inciso in maniera tale da rendere la giurisdizione delle Commissioni tributarie talmente ampia da includere anche gli atti amministrativi generali. La suprema Corte, in tal senso, ha ribadito quanto già affermato in una precedente sentenza, nella quale sosteneva che la controversia concernente un atto amministrativo generale "esula dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie, il cui potere di annullamento riguarda soltanto gli atti indicati dall’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non si estende agli atti amministrativi generali, dei quali l’art. 7 del medesimo decreto legislativo consente soltanto la disapplicazione" (Cassazione n. 20318/2006; conforme, Cassazione n. 9224/2006; a tal riguardo, si veda anche Cassazione n.16776/2005).

Secondo le Sezioni unite, la controversia che ha per oggetto un atto amministrativo generale esula dalla giurisdizione del giudice tributario nonostante l’atto si ponga quale presupposto dell’accertamento e della determinazione in concreto del tributo. Né, oltretutto, la Suprema corte può esercitare attività interpretativa sulle sentenze del Consiglio di Stato, essendo l’articolo 111, comma 8, della Costituzione chiaro nel limitare l’intervento della stessa ai soli motivi inerenti la giurisdizione sulla scorta della diversa tutela accordata ex articolo 113 Cost. agli interessi legittimi rispetto ai diritti soggettivi.

Quanto al secondo motivo, la Corte, pur ribadendo che è sottratto al sindacato delle Sezioni unite della Cassazione la decisione del Consiglio di Stato relativa alla legittimità di una delibera di determinazione dell’aliquota dell’Ici, trattandosi di questione di interpretazione della normativa vigente in materia non sindacabile in sede di giudizio sulla giurisdizione, ha ritenuto corretto l’operato del Consiglio di Stato nel senso che quest’ultimo, essendosi limitato a interpretare le norme di diritto che disciplinano il potere di stabilire le aliquote Ici, non ha debordato dai propri limiti giurisdizionali avendo evidenziato la carenza di una disposizione che disciplini il potere comunale di fissare aliquote diverse dell’Ici per le singole tipologie di immobili destinati a usi non abitativi.

Fonte: Leonardo D'Alessandro Agenzia Entrate

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