IVA NEL PERIODO DI VIGENZA DEL D.L. N. 223

D: Il comma 292 della legge finanziaria dispone fra l'altro che le cessioni
di fabbricati strumentali poste in essere nel periodo compreso tra il 4
luglio e l' 11 agosto 2006, in base alle disposizioni contenute nel D.L. n.
223/06 non convertite in legge, devono essere considerate esenti come in
effetti è avvenuto in tale periodo. Tuttavia la legge consente la facoltà di
optare per l'applicazione dell'Iva dandone comunicazione nella prossima
dichiarazione annuale Iva. La norma nulla dispone però in ordine
all'addebito dell'Iva al cliente, al diritto di rivalsa nonché del diritto
alla detrazione da parte dell'acquirente.

Si chiede pertanto quale siano le modalità di applicazione dell'Iva per le
cessioni di fabbricati strumentali poste in essere dal 4 luglio all' 11
agosto 2006 da parte delle imprese che intendono optare per l'applicazione
dell'Iva ed entro quale termine debba avvenire la predetta regolarizzazione.

Osservazioni

L'addebito dell'imposta all'acquirente del fabbricato strumentale dovrà
essere effettuata ai sensi dell'articolo 26, comma 1, del D.P.R. n. 633/72.
Quindi scatta il diritto di rivalsa per il cedente ed il diritto alla
detrazione per l'acquirente. Quale termine si può indicare quello di
presentazione della dichiarazione Iva per l'anno 2006 ancorché l'imposta sia
dovuta nel periodo d'imposta successivo.

R: La legge finanziaria 2007, all'art. 1, comma 292, disciplina l'efficacia
di talune norme contenute nel decreto legge n. 223 del 2006, oggetto di
modifica da parte della relativa legge di conversione. Tali norme
riguardano, in particolare il trattamento da riservare, ai fini dell'Iva e
dell'imposta di registro, alle cessioni e locazioni, anche finanziarie, di
immobili.

In particolare, il comma 292 fa salvi gli effetti prodotti dall'applicazione
delle norme, non convertite, contenute nell'art. 35, commi 8, lettera a), e
10, del decreto legge n. 223/2006, le quali, in sintesi, prevedevano
l'applicazione generalizzata del regime di esenzione alle cessioni e
locazioni, anche finanziarie, di immobili, consentendo, tuttavia, per le
cessioni di immobili strumentali poste in essere tra il 4 luglio e l'11
agosto (giorno anteriore all'entrata in vigore della legge di conversione)
la facoltà di esercitare l'opzione prevista dalla legge di conversione per
l'imponibilità ad Iva.

Con la previsione normativa in discorso, in sostanza, da un lato sono stati
salvaguardati i rapporti economici sorti nel periodo di vigenza del decreto
legge, e dall'altro, attraverso il riconoscimento della possibilità di
optare per l'imposizione, sono state evitate disparità di trattamento
fiscale tra coloro che hanno compiuto operazioni nel periodo di vigenza del
decreto e coloro che hanno agito successivamente all'entrata in vigore della
legge di conversione.

Con riferimento ai profili applicativi della norma, il cedente, qualora
voglia optare per l'imposizione, dovrà operare una variazione in aumento
dell'imposta ai sensi dell'art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 633/72.
L'emissione della apposita fattura integrativa (nota di addebito) per l'Iva
dovuta dal cessionario rappresenta il comportamento concludente che esprime
l'esercizio dell'opzione.

Il comma 292 dispone che l'opzione esercitata deve essere comunicata nella
dichiarazione Iva per l'anno 2006.

Il termine di presentazione della dichiarazione costituisce, pertanto, il
termine ultimo entro cui esercitare l'opzione per l'imponibilità.

Tuttavia, al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici sorti nel
periodo di vigenza delle norme oggetto di mancata conversione, sarà
opportuno che l'addebito dell'Iva alla controparte, da parte del cedente,
avvenga tempestivamente.

Turismo congressuale

D: L'articolo, 1 comma 304, della Legge Finanziaria per il 2007 ha
parzialmente derogato alla previsione di indetraibilità oggettiva riportata
nell'art. 19-bis1, lettera e), del D.P.R. n. 633/72 e consente di detrarre
l'IVA assolta sulle prestazioni alberghiere e sulle somministrazioni di
alimenti e bevande "inerenti alla partecipazione a convegni, congressi e
simili, erogate nei giorni di svolgimento degli stessi".

Per l'anno 2007 la disposizione si applica limitatamente al 50%.

Si chiede di sapere se la detrazione può essere effettuata oltre che per
tutte le prestazioni alberghiere e di ristorazione erogate nelle giornate
durante le quali si svolgono le manifestazioni anche per quelle relative
alla notte precedente e alla notte seguente al congresso.

R: La norma in questione prevede la detraibilità dell'Iva pagata sulle
prestazioni alberghiere e sulla somministrazione di alimenti e bevande, in
occasione di partecipazione a convegni, congressi ed eventi similari.

Come specificato nell'art. 1, comma 305, della legge finanziaria 2007 la
detrazione è applicabile limitatamente al 50% dell'imposta sul valore
aggiunto assolta sulle prestazioni medesime.

La norma, riferendosi alle prestazioni erogate nei giorni di svolgimento dei
convegni, intende permettere la detrazione dell'Iva assolta con riferimento
alle spese alberghiere e di ristorazione strettamente inerenti e necessarie
ai fini della partecipazione alle attività congressuali.

L'organizzazione dell'evento o la localizzazione dello stesso rispetto al
domicilio dei partecipanti possono rendere necessario sostenere tali spese
nel giorno immediatamente antecedente al suo svolgimento o nel periodo
immediatamente successivo.

Ai fini del riconoscimento della detrazione si ritiene, pertanto, che
possano essere considerate non soltanto le spese per le prestazioni
alberghiere e di ristorazione che sono erogate nei giorni di svolgimento
dell'evento (a cui testualmente fa riferimento la norma) ma anche le spese,
relative agli stessi servizi, il cui sostenimento è comunque necessario per
la partecipazione alle attività congressuali.

Inversione contabile per i subappalti

D: In seguito alla modifica dell'art. 17, sesto comma, del D.P.R. n. 633 del
1972, introdotta dall'art. 1, comma 44, della legge finanziaria per il 2007,
il meccanismo dell'inversione contabile (c.d. reverse-charge) è stato esteso
alle prestazioni di servizi rese, nel settore dell'edilizia, da soggetti
subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono attività di costruzione
e ristrutturazione di immobili, ovvero nei confronti dell'appaltatore
principale o di un altro subappaltatore.

In considerazione dell'estensione dell'ambito soggettivo di applicazione del
meccanismo di reverse-charge, si pongono i seguenti quesiti:

· nel caso in cui sia l'appaltatore principale che il
subappaltatore siano soggetti esteri non stabiliti in Italia, sono entrambi
tenuti ad identificarsi o a nominare il rappresentante fiscale per assolvere
gli obblighi del tributo, ovvero, è sufficiente che acquisisca la partita
IVA soltanto l'appaltatore (o il subappaltatore) debitore dell'imposta che
applica il meccanismo dell'inversione contabile di cui all'art. 17, comma
sesto, del D.P.R. n. 633 del 1972?

· il subappaltatore che è un soggetto comunitario, senza
stabile organizzazione in Italia, e che effettua solo prestazioni edili nei
confronti di appaltatori o subappaltatori stabiliti, quindi, prestazioni
assoggettate ad imposta con il meccanismo del reverse-charge, può chiedere
il rimborso ai sensi della VIII direttiva comunitaria recepita nell'art.
38-ter del D.P.R. n. 633 del 1972?

· nel caso in cui una fattura, relativa ad una
prestazione di subappalto, che avrebbe dovuto essere assoggettata ad imposta
dal committente con il meccanismo del reverse-charge, sia stata emessa
erroneamente con IVA, è possibile correggere l'errore emettendo una nota di
credito ai sensi dell'art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 ed emettere una
nuova fattura corretta? La variazione può intervenire anche oltre il termine
di un anno di cui al terzo comma del richiamato art. 26?

R: Il meccanismo del reverse-charge trasferisce dal cedente al cessionario
gli obblighi connessi all'assolvimento dell'IVA, in deroga alla disposizione
normativa contenuta nel primo comma dell'art. 17 del D.P.R. n. 633/1972.

Il meccanismo sopra descritto è stato esteso, ad opera dei recenti
provvedimenti normativi, anche alle operazioni poste in essere nel settore
edile tra subappaltatore e appaltatore (o altro subappaltatore).

Si ritiene che, nel caso in cui l'appaltatore ed il subappaltatore siano
entrambi soggetti esteri, non stabiliti in Italia, soltanto l'appaltatore,
in quanto debitore d'imposta in virtù dell'applicazione del regime di
reverse-charge, sia tenuto ad identificarsi direttamente in Italia, ovvero,
in alternativa, a nominare un rappresentante fiscale, ai sensi dell'art. 17,
secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972. Questa soluzione si muove
nell'ottica di una semplificazione degli adempimenti e tende ad evitare una
duplicazione di obblighi senza effettivi vantaggi per il fisco.

Per quanto riguarda il secondo quesito, si ritiene che il subappaltatore,
ove sia un soggetto comunitario senza stabile organizzazione in Italia, che
abbia effettuato esclusivamente prestazioni di servizi nell'ambito del
settore edile (assoggettate al regime di reverse-charge) nei confronti di un
appaltatore (o altro subappaltatore) stabilito in Italia, potrà chiedere il
rimborso ai sensi della VIII direttiva comunitaria, recepita nell'art.
38-ter del D.P.R. n. 633 del 1972.

Infatti, sebbene le prestazioni di servizi di costruzione non rientrino tra
le operazioni, espressamente indicate dall'art. 38-ter, la cui effettuazione
nello Stato non preclude la possibilità di ottenere il rimborso, è
necessario interpretare la normativa nazionale alla luce della disciplina
prevista dalla direttiva comunitaria n. 2006/1 12/CEE.

In particolare, secondo il combinato disposto degli articoli 171 e 199 della
suddetta direttiva, deve ammettersi il rimborso dell'IVA a favore dei
soggetti passivi che abbiano posto in essere, nello Stato membro in cui
effettuano acquisti di beni e servizi gravati da imposta, unicamente
operazioni attive rispetto alle quali il destinatario di tali operazioni sia
stato designato come debitore dell'imposta in virtù del meccanismo di
reverse-charge.

Con riferimento all'ultimo quesito, si ritiene che, nel caso in cui il
subappaltatore abbia emesso erroneamente con IVA una fattura relativa ad una
prestazione che avrebbe dovuto essere assoggettata ad imposta dal
committente, secondo il meccanismo del reverse-charge, sia possibile
correggere l'errore nella fatturazione, emettendo una nota di accredito
entro il termine di un anno dall'effettuazione dell'operazione, ai sensi
dell'art. 26, terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, che obbliga il
committente alle conseguenti variazioni.

In altri termini, il rispetto del termine previsto dal richiamato articolo
26, terzo comma, è necessario, in quanto l'indicazione di un ammontare di
imposta differente rispetto a quello reale concretizza l'ipotesi di
inesattezza della fatturazione prevista dalla norma in discorso.


L'IRPEF E LE MODIFICHE PER I PROFESSIONISTI

LE SPESE DI VITTO E ALLOGGIO

D: L'articolo 36, comma 29, del DL 223/06 detta le regole contabili, di
fatturazione e di ritenuta per le spese di vitto e alloggio del lavoratore
autonomo, sostenute dal committente per lo svolgimento dell'incarico. In tal
caso non opera la limitazione della deduzione di tali spese al 2% dei
compensi riscossi nell'anno.

In considerazione della complessità e dell'onerosità amministrativa della
procedura conseguente, che richiede almeno cinque diverse scritture
contabili, come evidenziato anche nella circolare 28/E, se le spese –
analiticamente addebitate al committente in fattura – vengono anticipate dal
lavoratore autonomo e non dal committente, resta ferma la deducibilità
integrale delle stesse, senza il limite del 2 per cento, tanto più che nel
caso di riaddebito integrale non si può nemmeno parlare, in senso proprio,
di spese sostenute e rimaste a carico?

R: L'articolo 36 del D.L. n. 223/06 convertito in L. n. 248/06, al comma 29,
lett. a), n. 2), ha modificato la disposizione contenuta nel comma 5
dell'art. 54 del TUIR in tema di determinazione del reddito di lavoro
autonomo. Il citato comma 5, infatti, è stato integrato stabilendo che le
spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e
bevande in pubblici esercizi sono integralmente deducibili da parte del
professionista nel caso in cui siano sostenute direttamente dal committente
per conto del professionista medesimo e da questi addebitate in fattura.

In tale particolare ipotesi non opera quindi il limite alla deducibilità di
tali spese, ordinariamente previsto nella misura del 2 % dell'ammontare dei
compensi annui.

La norma ammette il professionista a dedurre integralmente le spese
alberghiere e di ristorazione nella sola ipotesi in cui le spese stesse
siano state anticipate dal committente. Pertanto nell'ipotesi oggetto del
quesito, in cui le spese sono anticipate dal lavoratore autonomo e
analiticamente addebitate al committente, la deduzione è consentita solo nel
limite del 2% dei compensi percepiti nel periodo d'imposta.

BONUS INVESTIMENTI: AUTORIZZAZIONI PER ULTERIORI RISORSE

D: Solo a metà novembre del 2006, il Centro Operativo di Pescara ha inviato
ai diversi contribuenti delle regioni del Mezzogiorno (o, meglio, agli
intermediari abilitati) la comunicazione telematica di autorizzazione alla
fruizione, per l'anno 2006, del bonus investimenti ex art. 8 legge n.
388/00, richiesto ad inizio anno con relativa istanza RTS. Tali
autorizzazioni sono, dunque, arrivate a pochi giorni dal tempo utile per la
realizzazione dell'investimento (31 dicembre 2006) e per l'utilizzo di una
parte del relativo bonus (almeno il 20% del maturato entro la medesima
data). In alcuni casi, si segnalano anche autorizzazioni telematiche
materialmente ricevute dagli intermediari (o comparse sul loro sistema
Entratel) dopo il 31 dicembre 2006, sebbene recante data novembre 2006.

Il problema riguarda in particolare la Regione Campania che, con delibera
della Giunta Regionale, aveva messo a disposizione dei contribuenti istanti
50 milioni di euro di proprie risorse. Al riguardo, la Risoluzione n. 121/E
del 3 novembre 2006, operativa dal quinto giorno lavorativo successivo, ha
anche istituito due codici tributo, il 3891 e il 3892, rispettivamente per
l'utilizzo e la restituzione (a seguito di indebito utilizzo) del "credito
d'imposta per investimenti in Campania a valere sulle risorse regionali".

Tali somme, a causa della tardività delle notifiche, rischiano di rimanere
inutilizzati. L'articolo 8 della legge n. 388/00 (integrato con le
successive modifiche) attribuisce, infatti, i benefici solo per gli
investimenti realizzati entro il 31 dicembre 2006. Una lettura rigida della
norma comporterebbe, dunque, l'impossibilità di utilizzare il beneficio per
la parte di investimento non realizzata entro tale data. Inoltre, poiché
l'articolo 62 della legge n. 289/02 ha introdotto delle percentuali minime
nella fruizione dell'incentivo, per non incappare nelle ipotesi di decadenza
stabilite alla lettera g) del comma 1, per come spiegate nella Circolare n.
32/E del 3 giugno 2003, si sarebbe dovuto necessariamente realizzare, entro
l'anno 2006, almeno il 20% dell'investimento dichiarato nel modello RTS. In
ogni caso, poi, le compensazioni dovevano (devono) essere anch'esse
effettuata, avendo la capienza necessaria, entro i rigorosi termini
stabiliti dalla norma (ed interpretati dalla Circolare n. 32/E) attraverso
il modello F24.

Sempre la tardività della comunicazione telematica di assegnazione del
beneficio dell'obbligo ha comportato, per tutti i contribuenti, il rischio
automatico di non avere potuto rispettare l'obbligo stabilito dalla norma
(comma 1 bis, dell'articolo 8), di dovere avviare l'investimento entro sei
mesi dalla presentazione della domanda. In questo caso, infatti, è molto
probabile che chi si è visto scartare l'istanza ad inizio anno non si sia
preoccupato (giustamente) di avviare la spesa nel termine stabilito, con ciò
perdendo definitivamente il diritto che, invece, gli è stato riconosciuto
tardivamente solo con provvedimento emanato ben oltre i sei mesi successivi
a quello di presentazione dell'istanza.

Poiché sul tema c'è il precedente costituito dall'articolo 4, commi 132 e
133, della finanziaria per il 2004 (legge n. 350/03) si ritiene che
prescrizioni analoghe siano applicabili anche al caso di specie. Nel 2003,
infatti, solo nel mese di settembre l'Agenzia inviò ulteriori
autorizzazioni, rispetto a quelle d'inizio anno, a seguito della messa a
disposizione di maggiori risorse da parte del CIPE. In quel caso, la norma
citata stabilì che chi avesse ricevuto tardivamente l'autorizzazione, poteva
avviare l'investimento sostanzialmente entro sei mesi da questa, ottenendo
anche una proroga per spendere il bonus.

R: L'articolo 62, comma 1, lett. f), della legge 27 dicembre 2002, n. 289,
prevede che tutte le istanze di ammissione al credito d'imposta per le aree
svantaggiate concorrono all'assegnazione dei fondi disponibili a decorrere
dal 1° gennaio 2003 e (tanto quelle presentate per la prima volta, quanto
quelle rinnovate) devono evidenziare gli investimenti e gli utilizzi,
secondo la pianificazione scelta dai soggetti interessati, con riferimento
all'anno di presentazione dell'istanza e ai due successivi.

In conformità a quanto indicato nella risoluzione n. 104 del 29 luglio 2005,
l'utilizzo del contributo, in relazione a ciascun investimento, è, in ogni
caso, consentito esclusivamente entro il secondo anno successivo a quello in
cui è presentata l'istanza ammessa al contributo, nel rispetto dei limiti di
utilizzazione minimi e massimi pari:

- al 20 e al 30 per cento, nell'anno di presentazione dell'istanza ammessa
al

contri buto;

- al 60 e al 70 per cento, nell'anno successivo;

- per il rimanente, nel terzo anno.

Pertanto, fermo restando che gli investimenti possono rilevare ai fini
dell'agevolazione solo se realizzati entro il termine finale del regime di
aiuti fissato al 31 dicembre 2006, l'utilizzo del credito dovrà
necessariamente avvenire nell'anno di presentazione (e accoglimento)
dell'istanza e nei due immediatamente successivi, nel rispetto delle
percentuali di utilizzazione minime e massime previste dalla norma a pena di
decadenza dal contributo.

Ciò significa che coloro i quali abbiano ottenuto l'accoglimento
dell'istanza nel 2005 e nel 2006 (ultimi due anni di vigenza
dell'agevolazione in esame) potranno utilizzare il credito anche
successivamente alla data del 31 dicembre 2006, ma in nessun caso sarà
possibile maturare il credito d'imposta per investimenti realizzati
successivamente al 31 dicembre 2006. Quanto appena affermato trova conferma
nelle Istruzioni per la compilazione del quadro B dei Mod. ITS e RTS
(relativi alla pianificazione dell'investimento e dell'utilizzo del
credito). In tal senso, inoltre, devono intendersi le risoluzioni n. 62/E
del 9 aprile 2004 e 53/E del 3 maggio 2005.

Ciò vale anche in relazione alle istanze ammesse al contributo con
comunicazione telematica di assegnazione del beneficio pervenute nel
novembre 2006.

Va infatti precisato che, con riferimento ai tempi di realizzazione
dell'investimento, la specifica autorizzazione comunitaria del regime di
aiuti relativo al credito d'imposta in questione - ottenuta con la Decisione
C(2002) 1706 del 21 giugno 2002 - prevede, al punto 16, che "il regime scade
il 31.12.2006".

Pertanto - fatta salva la possibilità di modificare con intervento normativo
il regime di aiuti in questione, attivando la procedura di notifica e
successiva autorizzazione di cui all'articolo 88 del Trattato UE - si
ribadisce che non è possibile concedere il diritto alla fruizione del
credito d'imposta in relazione ad investimenti realizzati dopo il 31
dicembre 2006.

BONUS AGGREGAZIONI

Con riferimento al beneficio fiscale introdotto dai commi da 242 a 249 della
Finanziaria 2007 si formulano i seguenti quesiti:

D1: I commi 242 e 243 specificano le operazioni (fusioni, scissioni e
conferimenti) devono essere "effettuate" negli anni 2007 e 2008, senza
precisare in quale momento le operazioni si considerano "effettuate". Si
ritiene che per le fusioni e le scissioni tale momento debba coincidere con
le iscrizioni al registro delle imprese degli atti di fusione o scissione
(indipendentemente dalla eventuale retrodatazione o postdatazione di alcuni
effetti delle operazioni stesse) mentre per i conferimenti neutrali di
aziende dovrebbe rilevare la data dell'atto notarile di conferimento;

R1: Ai fini dell'individuazione del momento in cui si considerano
"effettuate" le operazioni di cui ai commi 242 (fusioni e scissioni) e 243
(conferimenti d'azienda c.d. "neutrali") della Legge Finanziaria 2007 si
precisa quanto segue:

· con riferimento alle operazioni di fusione e di scissione si
ritiene che tale momento coincida con la data di efficacia giuridica della
fusione o della scissione, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 2504-bis
e dell'articolo 2506-quater del codice civile.

· in relazione ai conferimenti d'azienda si ritiene che tale momento
coincida con la data di iscrizione della delibera di aumento del capitale
sociale presso il Registro delle imprese, ai sensi dell'articolo 2436, comma
5, del codice civile.

D2: Il comma 244 richiede, tra l'altro, che le imprese partecipanti alla
aggregazione siano "operative da almeno due anni"; in assenza di una
specifica definizione di operatività ci si chiede se debba farsi riferimento
al concetto di "non operatività" previsto dall'art. 30 della legge n. 724
del 1994.

Si ritiene che un'eventuale qualificazione del concetto di operatività sulla
scorta della richiamata disciplina delle società "non operative" sia in
contrasto con la ratio stessa della agevolazione, posto che una società che
risulti non operativa (ex art. 30 legge n. 724/94) ben potrebbe dare
adeguato impulso alla propria attività attraverso forme di aggregazione con
altre imprese.

Inoltre, anche società costituite da meno di due anni ma "operative"
sembrerebbero doversi ritenere ammesse a partecipare alle forme di
aggregazione che le disposizioni intendono agevolare;

R2: L'art. 1, comma 244, della legge finanziaria 2007 limita
l'agevolazione in commento alle sole operazioni di fusione, scissione e
conferimento cui partecipino esclusivamente imprese "operative" da almeno
due anni.

Per espressa previsione normativa, rimangono, pertanto, escluse
dall'agevolazione le imprese di costituite da meno di due anni e quelle che
non esercitano un'effettiva attività di impresa.

Attesa la finalità della norma, l'operatività deve intendersi in senso
"sostanziale" con la conseguenza che il beneficio non potrà essere
riconosciuto qualora le imprese risultino solo formalmente costituite da
almeno un biennio, essendo, invece, necessario ai fini che qui interessano
un quid pluris.

Per fruire del riconoscimento fiscale gratuito del disavanzo da concambio
ovvero del maggior valore iscritto dalla società conferitaria, il
contribuente è, infatti, tenuto a presentare apposita istanza di interpello
ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 agosto 2000, n. 212 al fine di
dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla normativa de qua.

In sede di risposta, l'Agenzia delle Entrate potrà prendere a riferimento il
concetto di operatività utilizzato per le cd. "società di comodo" di cui
all'articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 escludendo
dall'agevolazione tutte quelle situazioni in cui le società, al di là
dell'oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il
proprio patrimonio nell'interesse dei soci, anziché per esercitare
un'effettiva attività commerciale o industriale, risultando, pertanto, non
operative.

D3: Il comma 245 dispone che "Le disposizioni dei commi 242, 243 e 244 si
applicano qualora le imprese interessate dalle operazioni di aggregazione
aziendale si trovino o si siano trovate ininterrottamente, nei due anni
precedenti l'operazione, nelle condizioni che consentono il riconoscimento
fiscale di cui ai commi 242 e 243".

L'utilizzo della congiunzione "o" sembra condurre a ritenere applicabile il
benefico a soggetti che non possiedano, al momento dell'effettuazione
dell'operazione, i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti ma li abbiamo
posseduti ininterrottamente per i due anni precedenti;

R3: La congiunzione "o" ha valenza non disgiuntiva ma aggiuntiva.
Conseguentemente, la norma in oggetto deve essere letta nel senso che le
disposizioni dei commi 242, 243 e 244 si applicano solo a condizione che
tutte le imprese partecipanti alle descritte operazioni di aggregazione
aziendale possiedano ininterrottamente i requisiti soggettivi e oggettivi
richiesti ai fini del riconoscimento fiscale sia al momento in cui viene
posta in essere l'operazione di fusione, scissione o conferimento, sia nei
due anni precedenti l'operazione stessa.

SOCIETA' DI COMODO

VINCOLI AL RIPORTO DELLE ECCEDENZE IVA

D: Il comma 4 dell'articolo 30 della legge 724/94 prevede che qualora per
tre periodi di imposta consecutivi la società o l'ente non ponga in essere
operazioni rilevanti ai fini Iva pari all'importo minimo, l'eccedenza di
credito non è ulteriormente riportabile. Ci richiede in che modo debba
essere inteso l'ambito temporale di applicazione della norma.

Sulla base del tenore letterale del comma 16 dell'articolo 36 del Dl 223/06,
che prevede che le disposizioni si applicano " a decorrere dal periodo di
imposta in corso alla data di entrata in vigore" dl decreto medesimo, si
ritiene che il periodo triennale di osservazione decorra a partire
dall'esercizio di prima applicazione delle nuove disposizioni. In sostanza,
per i soggetti il cui periodo di imposta coincide con l'anno solare, la
disposizione limitante opererà per la prima volta nel periodo 2008, a
condizione che la società sia risultata di comodo per tale periodo e per i
due precedenti.

R: Il comma 4 dell'articolo 30 della legge n.724 del 1994 – come modificato
dalla legge finanziaria 2007 - stabilisce, al primo periodo, che l'eccedenza
di credito IVA risultante a fine anno non può essere richiesta a rimborso,
né compensata con altri tributi ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. n. 241
del 1997, né ceduta ad altri soggetti ai sensi dell'articolo 5, comma 4-ter,
del D.L. n. 70 del 1988.

L'intento antielusivo che ispira detta norma è ulteriormente perseguito
dalla disposizione contenuta nel secondo periodo della stessa la quale
prevede che, nel caso in cui per tre anni consecutivi siano effettuate
operazioni rilevanti ai fini IVA in misura inferiore a quello ottenuto
dall'applicazione delle percentuali di cui al comma 1 del medesimo articolo
30, l'eccedenza di IVA credito non è riportabile a nuovo per la
compensazione verticale con l'imposta dovuta negli anni successivi. Al
riguardo, ai fini del raffronto, deve assumersi come totale delle operazioni
effettuate ai fini IVA l'ammontare complessivo del volume d'affari
determinato ai sensi dell'articolo 20 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Si è del parere, al riguardo, che costituisce presupposto necessario per
l'applicazione della norma la circostanza che il soggetto non abbia
superato, in nessuno dei tre menzionati periodi d'imposta consecutivi, il
test di operatività di cui al comma 1.

In merito alla decorrenza della descritta disposizione, inoltre, si fa
presente che secondo quanto disposto dal comma 16 dell'articolo 36 del d.l.
n. 223 del 2006, le modifiche apportate dal medesimo articolo alla
disciplina sulle società di comodo trovano applicazione "a decorrere dal
periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore" del medesimo d.l.
n. 223.

Pertanto, il periodo triennale di osservazione contemplato dal nuovo comma 4
dell'articolo 30 inizia a decorrere dal periodo d'imposta 2006 con effetti
che si esplicheranno per la prima volta alla chiusura dell'anno 2008, sempre
che la società sia risultata non operativa, oltre che in tale esercizio,
anche nei due immediatamente precedenti. In detta occasione, infatti,
allorché si verificassero i presupposti normativi, alla data del 1° gennaio
2009 la società non potrà riportare a nuovo l'eccedenza di credito IVA
risultante al 31 dicembre 2008.

Inclusione nel calcolo delle partecipazioni Pex

D: Un aspetto che necessita di chiarimenti da parte dell'Amministrazione
finanziaria riguarda l'inclusione o meno tra le partecipazioni da
considerare per l'applicazione del coefficiente del 2% di quelle per le
quali sono maturati i requisiti PEX (articolo 87 del TUIR.

L'articolo 30 della L 724/94, nell'ambito dell'elencazione dei beni ai quali
applicare i coefficienti per il calcolo dei ricavi e dei proventi minimi,
indica espressamente tutti i beni indicati all'articolo 85, comma 1, lettere
c) d) ed e) del Tuir. Devono pertanto ritenersi interessate al calcolo tutte
le partecipazioni iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie,
indipendentemente dal trattamento fiscale della plusvalenza derivante dalla
loro eventuale cessione. Peraltro, le plusvalenze realizzate su
partecipazioni con i requisiti per l'esenzione rilevano come componenti da
porre a raffronto con i redditi minimi. In senso conforme l'Amministrazione
finanziaria si è già espressa nella Circolare 13 febbraio 2006 n. 6/E,
paragrafo 7.8.

R: Le modifiche recate dal comma 109 dell'articolo 1 della legge finanziaria
2007 al comma 1 dell'articolo 30 della legge n. 724 del 1994 sono
finalizzate a disciplinare il trattamento da riservare - ai fini
dell'applicazione del test di operatività previsto dalla disciplina sulle
società di comodo - agli strumenti finanziari similari alle azioni [di cui
all'articolo 85, comma 1, lettera d), del TUIR] e alle obbligazioni [di cui
all'articolo 85, comma 1, lettera e), del TUIR], ma non modificano il rinvio
all'articolo 85, comma 1, lettera c), del TUIR già contenuto nel predetto
comma 1.

Mediante il rinvio a tale ultima disposizione, come noto, si tende ad
individuare quali beni debbano essere presi in considerazione per effettuare
il menzionato test di operatività (ossia azioni o quote di partecipazioni,
anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui
all'articolo 73) indipendentemente dal regime di esenzione ad essi
riservato.

Non rileva, pertanto, il fatto che alcune di tali partecipazioni siano
attratte al regime di participation exemption previsto dall'articolo 87 del
TUIR, restando con riferimento a queste ultime valide le conclusioni alle
quali nel medesimo contesto normativo è pervenuta l'Agenzia delle Entrate
nella circolare 6/E del 2006. In tale documento è stato chiarito che "le
partecipazioni in possesso dei requisiti di cui all'articolo 87 del TUIR,
per ragioni di ordine logico e sistematico, debbono essere annoverate tra
quelle che concorrono alla verifica dell'operatività, ai sensi dell'articolo
30 della legge n. 724 del 1994".

Calcolo della media triennale

D: Non è chiaro se debba operare o meno l'inclusione, ai fini del conteggio
della media triennale, del primo periodo di imposta della società, nel quale
per legge il contribuente è escluso dalla disciplina delle società di
comodo. Analogo problema di pone per il periodo di imposta per il quale il
contribuente dovesse ottenere parere favorevole all'interpello
disapplicativo.

Il comma 2 dell'articolo 30 della legge 724/94 richiede espressamente che i
valori da utilizzare per il calcolo dell'operatività siano determinati come
media delle risultanze "dell'esercizio e dei due precedenti", senza operare
alcuna esclusione o specificazione. Si ritiene pertanto che i dati dei
periodi di non applicazione della disciplina vadano normalmente considerati
ai fini dei calcoli relativi ai periodi successivi.

R: La disciplina fiscale delle società "non operative" - che recentemente ha
subito modificazioni per effetto dell'articolo 35, commi 15 e 16, del
decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006,
n. 248, nonché dell'articolo 1, commi 109 e seguenti, della legge
finanziaria 2007 - si applica, al ricorrere di determinati presupposti
soggettivi ed oggettivi, alle società e a taluni enti che abbiano conseguito
nel periodo d'imposta un ammontare di ricavi, di proventi (diversi da quelli
con natura straordinaria) e di incrementi di rimanenze inferiore a quelli
minimi determinati come percentuale del valore di alcuni beni patrimoniali.
Ai fini di tale determinazione, i ricavi e i proventi, nonché i valori dei
beni e delle immobilizzazioni "vanno assunti in base alle risultanze medie
dell'esercizio e dei due precedenti".

Si rileva che tale previsione, contenuta nel comma 2, primo periodo
dell'articolo 30 della legge n. 724 del 1994 (come riformulato dall'art. 3,
comma 37, della legge n. 662 del 1996), non ha subito alcuna modifica ad
opera dei recenti interventi normativi.

In merito alle modalità da seguire per la determinazione dei predetti valori
medi continuano, dunque, a valere i chiarimenti forniti nelle circolari 26
febbraio 1997, n. 48 (paragrafo 2.2) e 15 maggio 1997, n. 137 (domanda
12.10).

Ciò posto, indipendentemente dall'introduzione di alcune nuove disposizioni
nella disciplina in esame, si ritiene che nel calcolo dei valori medi
debbano essere necessariamente considerati i due periodi di imposta
precedenti a quello in osservazione, anche se interessati da cause di
esclusione dall'applicazione della norma, siano esse di natura "automatica"
(primo periodo d'imposta) o conseguenti all'accoglimento dell'istanza
disapplicativa prevista dal comma 4-bis del predetto articolo 30. Resta
inteso che in ipotesi di contribuente costituitosi da meno di tre periodi
d'imposta, il valore medio in esame dovrà essere calcolato con riferimento
al periodo d'imposta in osservazione e a quello immediatamente precedente
(coincidente quest'ultimo con l'esercizio di costituzione).

Scioglimento e trasformazione: conseguenze ai fini Iva

D: Si chiede quale sia la ricaduta in termini Iva delle operazioni di
assegnazione e di trasformazione.

Per ragioni di applicazione logica della normativa, si ritiene che le
operazioni di assegnazione e di trasformazione siano completamente
irrilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. Pertanto, oltre a non
applicarsi le ordinarie regole di imposizione, le società non dovranno
procedere alla rettifica della detrazione operata nei periodi di imposta
precedenti.

R: Nell'ipotesi in cui le società non operative deliberano lo scioglimento
con conseguente assegnazione dei beni ai soci (ferma restando l'applicazione
dell'imposta di registro nella misura dell'1 per cento, nonché
l'applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa per i
beni immobili) le stesse beneficiano della previsione agevolativa contenuta
nell'articolo 1, comma 116, della legge finanziaria 2007, secondo cui le
assegnazioni di beni ai soci non sono considerate cessioni agli effetti
dell'imposta sul valore aggiunto.

In ogni caso, si è del parere che, coerentemente con quanto precisato
dall'Amministrazione finanziaria, rispettivamente, nella circolare 112/E del
21 maggio 1999, parte III, paragrafo 1, e nella circolare 40/E del 13 maggio
2002, paragrafo 1.4.1, nelle quali si fornivano chiarimenti in merito ad
analoghe disposizioni agevolative introdotte dall'articolo 29 della legge 27
dicembre 1997, n. 449 e dall'articolo 3 della legge 28 dicembre 2001, n.
448, le società non operative all'atto della assegnazione dei beni ai soci
devono necessariamente effettuare la rettifica della detrazione dell'IVA
secondo le regole ordinariamente dettate dall'articolo 19-bis2 del D.P.R. n.
633 del 1972.

In aderenza a tale disciplina, nella particolare ipotesi in cui all'atto
dell'acquisto del bene in questione la società non abbia potuto beneficiare
della detrazione ai fini IVA, non sarà necessario effettuare alcuna
rettifica della detrazione al momento della successiva assegnazione del bene
ai soci.

Nell'ipotesi di trasformazione agevolata della società non operativa in
società semplice, si fa presente che la legge finanziaria non contiene
disposizioni agevolative ai fini IVA.

Pertanto, si è del parere che l'atto di trasformazione in società semplice,
configurandosi quale operazione di autoconsumo di beni di impresa, comporta
l'assoggettamento ad Iva dell'operazione, ai sensi dell'articolo 2, secondo
comma, n. 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, sempre che all'atto dell'acquisto
sia stata operata la detrazione del tributo ai sensi dell'articolo 19 del
medesimo decreto.

Tale orientamento è conforme alle precisazioni contenute nella predetta
circolare 40/E del 13 maggio 2002. Anche in quella sede si è affermato che
la trasformazione agevolata in società semplice, rientrando tra le
operazioni di autoconsumo dei beni d'impresa, rileva ai fini
dell'applicazione dell'IVA.

I rapporti tra la nuova norma e il passato

D: Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in
corso alla data del 4 luglio 2006, anche per le quote di ammortamento
relative ai fabbricati costruiti o acquistati nel corso di periodi d'imposta
precedenti. La norma fa salve le quote di ammortamento già dedotte, mentre
va ad incidere sulla determinazione del reddito relativo al periodo di
imposta 2006. Si deve pertanto ritenere che questa disposizione introduce un
principio nuovo ai fini delle imposte sui redditi che in precedenza non
esisteva per cui, fino all'entrata in vigore delle nuove disposizioni, il
costo ammortizzabile di un fabbricato strumentale resta quello complessivo e
quindi viene compreso anche il valore dell'area sottostante. In tal senso
sembra deporre sia il dato letterale della norma, sia l'impostazione della
circolare 34/E del 21 novembre 2006 che tratta questa disposizione come una
novità a tutti gli effetti, sia la norma transitoria che, in via
legislativa, attribuisce tutti gli ammortamenti effettuati in passato alla
parte del fabbricato, implicitamente confermando che in precedenza
l'ammortamento riguardava un costo complessivo anche del valore dell'area.

Si chiede conferma di questa interpretazione.

R: Le disposizioni relative all'indeducibilità del valore delle aree su cui
insistono fabbricati strumentali, contenute nell'articolo 36, commi 7 e
seguenti, del decreto-legge n. 223 del 2006 e successive modifiche, hanno
carattere innovativo e, di conseguenza, non producono alcun effetto sulle
quote di ammortamento riferibili all'area già dedotte. Le disposizioni in
commento, infatti, trovano applicazione a partire dal periodo d'imposta in
corso al 4 luglio 2006 e non prevedono il recupero a tassazione di quote di
ammortamento fiscalmente non deducibili in quanto interamente attribuite
all'area sulla base dei criteri individuati dalla nuova disposizione.

Il trattamento a regime delle spese incrementative

D: Si chiede di chiarire se i costi incrementativi capitalizzati e le
rivalutazioni effettuate saranno escluse dai conteggi anche per il futuro.
In sostanza la norma prevede il principio in base al quale, per il passato,
le migliorie e tutti i costi capitalizzati che hanno determinato un
incremento di valore del bene immobile sono da considerarsi riferite al
fabbricato e quindi ai fini dei conteggi della forfetizzazione del valore
dell'area non assumono alcuna rilevanza. Sembrerebbe logico che questo
principio possa valere anche per il futuro e cioè per le migliorie
effettuate dal 2006 in avanti in quanto esso ben rappresenta la realtà
economica sottostante: infatti quando si migliora un fabbricato non vi è una
crescita del valore del terreno anzi in molti casi la maggiore complessità
del manufatto sovrastante potrebbe voler dire maggiori costi di
bonifica/demolizione con la conseguenza che l'operazione potrebbe, dal punto
di vista economico, in alcuni casi portare addirittura ad una riduzione di
valore del terreno. Si chiede inoltre di chiarire se il principio, come
sembra logico, verrà applicato anche ai maggiori valori derivanti dalla
rivalutazione prevista dalla legge 266 del 2005 che assumeranno rilevanza
fiscale dal 2008.

R: Il comma 8 dell'articolo 36, del d.l. n. 223 del 2006, prevede che il
costo complessivo (area più fabbricato) su cui applicare le percentuali del
20 o 30 per cento deve essere assunto al netto dei costi incrementativi
capitalizzati nonché delle rivalutazioni effettuate, le quali, pertanto,
sono riferibili esclusivamente al valore del fabbricato e non anche a quello
dell'area.

Si ritiene, al riguardo, che la disposizione citata trovi applicazione anche
per gli acquisti effettuati dopo il periodo d'imposta in corso al 4 luglio
2006: anche in tali ipotesi occorrerà, in sede di scorporo, applicare le
percentuali forfetarie per determinare la quota riferibile all'area (non
ammortizzabile) su un valore di riferimento non comprensivo delle eventuali
spese portate ad incremento del valore dell'immobile.

Si ipotizzi, ad esempio, il caso di un immobile acquistato il 1° febbraio
del 2007 sul quale sono state sostenute, nel corso del 2007, delle spese
portate ad incremento del valore dell'immobile, così come risulta nel
bilancio chiuso al 31 dicembre 2007.

In tal caso, per l'applicazione delle percentuali forfetarie, occorrerà fare
riferimento al valore complessivo al momento dell'acquisto, che, ovviamente,
non è comprensivo delle predette spese incrementative.

Con specifico riferimento alla legge di rivalutazione prevista dalla legge
n. 266 del 2005 si ricorda che potevano essere rivalutati solo i beni
esistenti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2005 e che il riconoscimento
fiscale decorre solo a partire dal 2008. Tale rivalutazione sarà irrilevante
ai fini dello scorporo poiché lo stesso si effettua una sola volta sul costo
complessivo fiscalmente riconosciuto dell'immobile risultante dal bilancio
2005, che come detto, non include alla predetta data il maggior valore
relativo alla rivalutazione.

Il costo fiscale dell'immobile

D: Le novità introdotte dalla norma in merito all'indeducibilità delle quote
di ammortamento e dei canoni di leasing relativi ai terreni generano
ripercussioni anche sul costo fiscalmente riconosciuto dell'immobile, il
quale risulterà incrementato di dette quote. L'incremento rileverà in sede
di determinazione della plusvalenza o della minusvalenza realizzata in
occasione della cessione del bene. Si chiede di chiarire se comunque la
plusvalenza sarà unica ovvero al momento della cessione si genereranno due
risultati differenziali, una plus/minusvalenza riferita alla parte terreno
ed una riferita alla parte fabbricato. Sembrerebbe più in linea con il dato
letterale della norma la soluzione di determinare un unico risultato in
quanto viene previsto che la disposizione dovrebbe valere solo "ai fini del
calcolo delle quote di ammortamento deducibili".

Inoltre si chiede di indicare quali effetti avrà l'indeducibilità delle
quote di ammortamento del terreno ai fini del plafond previsto per la
deducibilità delle spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e
trasformazione che dal bilancio non risultano imputate ad incremento del
costo dei beni ai quali si riferiscono (articolo 102, comma 6, del D.P.R. n.
917/1986). Sembrerebbe infatti che poiché tale disposizione stabilisce che
"le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, …,
sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni
materiali ammortizzabili non dovrebbero più essere considerati, nell'ambito
del plafond, i valori dei terreni "incorporati" in un fabbricato
strumentale.

R: Con riferimento al primo quesito si ritiene che la cessione dell'area
comprensiva di fabbricato genera un'unica plusvalenza (ovvero minusvalenza)
pari alla differenza tra il corrispettivo pagato e il costo fiscalmente
riconosciuto dell'area (non ammortizzabile) comprensiva di fabbricato. Le
norme in esame, infatti, prevedono la necessità di effettuare lo scorporo
tra il valore del terreno e quello del fabbricato solo ai fini della
determinazione della quota (riferibile al fabbricato) che può essere
ammortizzata e non anche ai fini della relativa plusvalenza (ovvero
minusvalenza) di cessione.

Con riferimento al secondo quesito, si fa presente che l'indeducibilità del
valore delle aree si riflette altresì, riducendone l'ammontare, sul plafond
del 5 per cento del valore complessivo dei beni ammortizzabili al quale
commisurare l'importo delle spese di manutenzione, riparazione,
ammodernamento e trasformazione deducibili ai sensi dell'articolo 102, comma
6, del TUIR.

Spese professionali derivanti da paradisi fiscali

D: Il comma 12-bis dell'articolo 110, TUIR prevede che le disposizioni dei
commi 10 e 11 si applicano anche alle prestazioni di servizi rese dai
professionisti domiciliati in Stati o territori non appartenenti all'Unione
europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si vuole avere conferma che la
prova di cui al comma 11 per i professionisti consista nel fatto che essi
svolgano un'attività professionale effettiva e non un'attività commerciale
effettiva.

Commento

Un interpretazione estensiva del concetto di attività commerciale effettiva
è già stata data con la circ. 9/E del 2001, risposta 2.1. Il mancato
riferimento alle attività professionali deve considerarsi una mera svista
del legislatore.

R: Il riferimento allo svolgimento di un'attività commerciale effettiva
contenuto nel comma 11 dell'articolo 110 del TUIR è stato originariamente
previsto per le operazioni commerciali intercorse tra imprese.

Il decreto-legge 2 ottobre 2006, n. 262, si è limitato ad estendere la
disciplina in esame alle prestazioni rese da professionisti domiciliati in
Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati, senza modificare il
testo del comma 11.

La necessità di adattare le esimenti alla specificità delle prestazioni
professionali comporta che in tali casi la prova avrà ad oggetto lo
svolgimento di un'attività professionale effettiva.

Stock option: condizione che l'opzione sia esercitabile non prima che siano
scaduti tre anni dalla sua attribuzione.

D: Si pongono particolari problemi di diritto transitorio, con riferimento
ai piani di stock option varati prima del 3 ottobre 2006 (data di entrata in
vigore del Dl. 262 del 2006) senza essere conformi al requisito in commento.
Come ci si deve comportare?

Commento

Come osserva l'Abi nella circolare 22 dicembre 2006, n. 16 "escludere dal
beneficio tutti i piani già approvati che non prevedono questa con-dizione
non sembra essere nello spirito della norma, anche perché ciò si sarebbe
dovuto più correttamente concretare in una decorrenza della nuova condizione
che facesse salve le operazioni già deliberate.

Le soluzioni prospettate sono diverse:

1) consentire una lettura della norma che privilegi non tanto la
previsione astratta della esercitabilità contenuta nel piano quanto
piuttosto il concreto esercizio dopo il triennio. Osserviamo che questa
interpretazione – non letterale, ma aderente allo spirito della norma –
trova conferma nella relazione go-vernativa al D. 262 in cui si legge che
«la norma prescrive che l'opzione deve essere esercitata di fatto (non)
prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione» e che «è
necessario, inoltre, che al momento dell'esercizio dell'opzione la società
emittente le azioni da offrire sia quotata nei mercati regolamentati». Anche
il documento "Pagare tutti per pagare meno" apparso sul sito del Governo
precisa che è stata introdotta la «condizione che l'opzione sia esercitata
dopo tre anni dalla data di attribuzione del relativo diritto». Pare,
quindi, assumere rilevo solo la data di esercizio di fatto e non quella di
esercitabilità secondo il regolamento;

2) oppure permettere una modifica dei piani già deliberati senza che ciò
rappresenti una novazione del piano con la conseguenza di dover
rideterminare il prezzo di esercizio. La proroga del vesting period dovrebbe
essere possibile, senza che sia presunta una novazione del piano e quindi
sia necessario rideterminare il prezzo di esercizio in base alla media dei
prezzi negoziati nel mese precedente alla data della modi-fica. Vi è un
precedente nella risoluzione 17 dicembre 2001, n. 212/E, che ha consentito
il "repricing" dei piani che abbiano previsto prezzi di esercizio inferiori
alla quotazione media del mese precedente alla data dell'offerta, senza che
ciò sia considerato una novazione del piano. Favorevole a questa
in-terpretazione, v. G. Renella, in "Guida Normativa", n. 48 del 2006, pag.
48.

Va richiamata, per analogia, anche la risoluzione 12 aprile 2006, n.
954-51769/2006 relativa alla tematica della proroga di un prestito
obbligazionario in scadenza. Tra l'altro, è stato approvato un ordine del
giorno (n. 9/1 750/1 3) che impegna il Governo a valutare la possibilità di
considerare sussistente il requisito anche nel caso in cui, alla data di
entrata in vigore del decreto, siano decorsi tre anni dall'attribuzione
delle azioni oggetto del piano di stock op-tions.

E' evidente, che – ove il Governo intendesse rispettare l'impegno (il
Telefisco potrebbe essere l'occasione) – non potrebbe che estendere questa
interpretazione ai casi in cui pur non essendo ancora decorso il triennio
alla data di entrata in vigore della norma, il dipendente non e-serciti
l'opzione prima della scadenza del triennio dal varo del piano.

R: Le nuove disposizioni dell'articolo 51, comma 2-bis, del TUIR (così come
risultanti dalle modifiche apportate dal decreto-legge n. 262 del 2006
convertito dalla legge n. 286 del 2006) hanno, come noto, modificato le
condizioni per poter usufruire del regime fiscale agevolato previsto per le
stock option. Le norme, tra l'altro, ora stabiliscono che l'opzione sia
esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione.

In sostanza, la disposizione impone che il piano preveda un cosiddetto
"vesting period" obbligatorio triennale: l'opzione, infetti, non deve essere
esercitabile prima dei tre anni sulla base delle previsioni del piano.

Naturalmente tale condizione va anche verificata in concreto secondo le
specifiche previsioni contenute nei piani deliberati dalle società.

Pertanto, non è sufficiente che il contribuente non eserciti prima dei tre
anni ma è necessario che tale condizione sia prevista anche espressamente
nei piani.

Al fine di consentire di poter usufruire dell'agevolazione ai piani già
deliberati alla data di entrata in vigore della norma (3 ottobre 2006) che
non prevedono un vesting period obbligatorio triennale e le cui azioni non
siano già state assegnate (neanche in parte), detti piani possono essere in
tal senso modificati, senza che tale modifica possa costituire una
fattispecie novativa.

Come già precisato in altre occasioni, infatti, non costituisce novazione la
revisione della data di esercizio delle opzioni, sempreché rimangano
inalterate le altre condizioni essenziali del piano, quale, ad esempio,
quella che al momento dell'esercizio dell'opzione stessa il prezzo pagato
sia almeno pari al valore dell'azione al momento dell'offerta.

Stock option: Stratificazione delle azioni ricevute.

D: Nel caso in cui il dipendente abbia in portafoglio azioni soggette a
diversi regimi fiscali di cedibilità (cioè soggette a più di uno dei regimi
di cui all'articolo 51 del Testo unico che si sono succeduti nel tempo), si
ritiene che possa decidere autonomamente, in caso di cessione di una parte
delle azioni, da quale "pacchetto" di azioni possedute prelevare le azioni
cedute. Inoltre, si ritiene che sia estensivamente applicabile la
risoluzione 12 agosto 2005, n. 118/E, secondo cui "il trasferimento ex lege
delle azioni in possesso dei dipendenti (…), proprio perché avviene in forma
obbligatoria, non lascia alcun margine di scelta agli stessi e, quindi,
sembrerebbe scongiurare una qualche finalità elusiva dell'operazione". Nella
fattispecie analizzata dalla Entrate, il nuovo socio di riferimento della
società che aveva varato il piano di incentivo aveva posto in essere
un'operazione cd. di squeeze out, finalizzata ad acquisire il 100% del
pacchetto azionario della controllata

Commento

Come precisato dalla circolare 12 giugno 2002, n. 186/E, si deve ritenere
che nel caso in cui il dipendente abbia ricevuto una pluralità di
assegnazioni in diverse annualità, ai fini della verifica del rispetto della
condizione temporale può farsi riferimento al criterio in base al quale si
considerano cedute per prime le partecipazioni acquisite in data meno
recente (cosiddetto criterio FIFO: first in-first out). Naturalmente,
l'applicazione di tale criterio deve essere riferito esclusivamente alle
azioni assegnate al dipendente in base alle disposizioni agevolative di cui
all'articolo 51 e, quindi, non anche alle azioni che il dipendente abbia
acquistato autonomamente sul mercato (risoluzione 186/E del 2002, citata).
Nel caso di contemporanea assegnazione di azioni nell'ambito della lettera
g) e g bis) dell'articolo 51, si ritiene che i due panieri di azioni debbano
essere movimentati distintamente, dato che il periodo di detenzione minima è
diverso (tre anni per le assegnazioni di cui alla lettera g). In mancanza di
una regola che stabilisca da quale paniere il dipendente abbia prelevato le
azioni cedute, si deve ritenere che sia il dipendente stesso a poter
decidere (si veda, per analogia, la circolare Abi, n. 21 del 2002, pag. 9).

Questi criteri dovrebbero valere anche per la gestione dei pacchetti
azionari derivanti dall'esercizio di opzioni effettuato in più tempi in
vigenza delle diverse norme regolatrici delle stock option (prima del 5
luglio 2006, dal 5 luglio al 3 ottobre, dal 3 ottobre in poi). Si ritiene
che sia estensivamente applicabile la risoluzione 12 agosto 2005, n. 118/E,
secondo cui "il trasferimento ex lege delle azioni in possesso dei
dipendenti (…), proprio perché avviene in forma obbligatoria, non lascia
alcun margine di scelta agli stessi e, quindi, sembrerebbe scongiurare una
qualche finalità elusiva dell'operazione". Nella fattispecie analizzata
dalla Entrate, il nuovo socio di riferimento della società che aveva varato
il piano di incentivo aveva posto in essere un'operazione cd. di squeeze
out, finalizzata ad acquisire il 100% del pacchetto azionario della
controllata.

R: Ai fini dell'individuazione delle azioni cedute dal dipendente, nel caso
in cui le azioni siano state dallo stesso ricevute in epoche diverse, si
conferma che il criterio cui fare riferimento è il F.I.F.O. (first in-first
out) ossia il criterio che consente di riferire la cessione agli acquisti
meno recenti. Cosi come precisato nella risoluzione n. 186/E del 12 giugno
2002, l'applicazione di tale criterio deve essere riferito esclusivamente
alle azioni assegnate al dipendente sulla base di piani di stock option e
non anche alle azioni che il dipendente abbia acquistato autonomamente sul
mercato. In questa ipotesi, infatti, rimangono fermi i criteri di
determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria, compreso quello
indicato nel comma 1-bis dell'articolo 67 del TUIR (L.I.F.O.).

Con riferimento, infine, al vincolo di incedibilità quinquennale, si
conferma quanto già precisato nella risoluzione n. 11 8/E del 12 agosto
2005, ossia che il trasferimento ex lege di azioni in possesso del
dipendente, avvenendo in forma obbligatoria e non lasciando alcun margine di
scelta alle parti del rapporto di lavoro (datore di lavoro e dipendente),
non configura una fattispecie elusiva e pertanto non comporta la decadenza
dal beneficio fiscale.

Stock option: condizione di investimento minimo quinquennale

D: L'articolo 51, comma 2 bis, lettera c) del Testo unico pone la condizione
che il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi
all'esercizio dell'opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non
inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento
dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente.

Si vuole sapere come debba essere determinato, nel tempo, l'investimento
minimo.

Commento

Con riferimento alla condizione di cui alla lettera c) del comma 2 bis, non
risulta, dagli atti parlamentari, quale intento abbia perseguito il
legislatore. Tuttavia, si può immaginare che si sia inteso imporre al
dipendente di mantenere, per cinque anni un investimento nelle azioni
assegnate, di ammontare pari al reddito non assoggettato ad Irpef in
occasione dell'esercizio dell'opzione, consentendogli, invece, di
monetizzare, sin dal giorno dell'esercizio dell'opzione, una quota delle
azioni optate di valore pari al prezzo di esercizio pagato, in modo tale da
non obbligarlo a reperire fonti di finanziamento per l'esercizio
dell'opzione.

E' certamente agevole individuare l'ammontare dell'investimento in titoli
che deve essere mantenuto, ossia la differenza tra il valore delle azioni al
momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente:
supponendo che siano assegnate 1.000 azioni con un prezzo di esercizio di 10
euro e che la media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese sia di
15 euro, dovrà essere mantenuto un investimento in titoli di importo
complessivo pari a 1.000 x (15 – 10) = 5.000 euro.

La determinazione del numero di azioni non cedibili. Meno facile è stabilire
a quante azioni corrisponda tale investimento minimo.

Sono, infatti possibili diverse interpretazioni:

1) Secondo una prima interpretazione, dato che le 1000 azioni sono state
acquistate al prezzo unitario di 10 euro, devono essere tenute in
portafoglio per cinque anni non meno di 5000: 10 = 500 azioni; quindi
possano essere vendute le altre 500 azioni, con un ricavato (ipotizzando
l'invarianza della quotazione di borsa) pari a 500 x 15 = 7.500. Questa tesi
deve essere certamente scartata, in quanto lo scopo della lettera c) in
commento è certamente quello di consentire al dipendente di finanziare
l'esercizio dell'opzione con il ricavato della vendita di parte delle azioni
ricevute in assegnazione a seguito dell'opzione. Se l'interpretazione data
alla norma fosse quella appena descritta tale obiettivo verrebbe frustrato,
in quanto il dipendente conseguirebbe un ricavo, dalla vendita delle 500
azioni, inferiore al costo di esercizio dell'opzione (che è 10 euro x 1000
azioni);

2) Secondo una seconda interpretazione, dato che le 1.000 azioni
detenute in portafoglio alla data di esercizio hanno, in tale data, un
valore normale unitario di 15 euro – devono essere tenute in portafoglio per
cinque anni non meno di 5000: 15 = 334 azioni; quindi possano essere venute
le altre 666 azioni, con un ricavato (ipotizzando l'invarianza della
quotazione di borsa) pari a 666 x 15 = 10.000. Questa seconda
interpretazione appare più coerente con le finalità della norma.

Ipotizziamo di aderire alla seconda tesi e supponiamo, ora, che il
dipendente, all'atto dell'assegnazione non venda alcuna delle azioni
assegnate ed effettui una vendita parziale solo dopo un anno.

Cessione non contestuale all'esercizio dell'opzione. Facciamo prima
l'ipotesi che,


dopo un anno, il titolo (la media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo
mese) sia sceso a 12 euro e poi facciamo l'ipotesi che sia salito a 18 euro.

Nel primo caso, ci si chiede se il numero minimo di azioni da detenere in
portafoglio resti invariato a 334 (calcolato sulla base della valore normale
delle azioni alla data dell'assegnazione) o salga a 5.000 : 12 = 417; nel
qual caso, il dipendente potrebbe vendere solo 583 azioni ricavandone una
somma complessiva pari a 6.996. Questa seconda interpretazione – che appare
sfavorevole, per il dipendente, in caso di andamento negativo della
quotazione – appare invece favorevole se la quotazione aumenta. Supponendo
infatti che la quotazione salga a 18, il numero minimo di azioni detenere in
portafoglio sarebbe 5.000 : 18 = 278 e quindi potrebbero essere vendute 722
azioni, con un guadagno di 12.996 euro. Anche per questo motivo, la seconda
interpretazione appare criticabile. La prima interpretazione (secondo cui il
numero delle azioni vincolate viene determinato alla data dell'assegnazione
e non muta per l'intero periodo di osservazione), appare meno sostenibile
sul piano letterale, ma più razionale, in quanto più stabile nel tempo
(quindi anche più facile da applicare): una volta determinato il numero
minimo di azioni da detenere per un quinquennio, questo numero resterà
immutato, a meno – ovviamente – di operazioni sul capitale dell'emittente,
nel qual caso sarà necessario applicare gli usuali coefficienti di
rettifica.

Il parere dell'Abi. La problematica sopra esposta è stata esaminata anche
dall'Abi nella circolare n. 16/2006 sopra citata. Anche l'Associazione,
aderendo alla seconda interpretazione ha dichiarato che «è vivamente
auspicabile che sia chiarito dall' Agenzia delle Entrate che, effettuata la
fotografia alla data di assegnazione delle azioni, questa sia mantenuta per
tutto il quinquennio, senza dover rincorrere le eventuali modifiche del
valore delle azioni durante il medesimo periodo».

R: A differenza della norma previgente, contenuta nel decreto-legge n. 223
del 2006, che imponeva un vincolo di indisponibilità della totalità delle
azioni ricevute dal dipendente per un periodo di tempo quinquennale, la
disposizione modificata dal decreto-legge n. 262 del 2006 prevede che il
beneficiario debba mantenere per almeno i cinque anni successivi
all'esercizio dell'opzione non tutte le azioni ricevute, bensì un
"investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza
tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare
corrisposto dal dipendente".

In sostanza, l'oggetto del vincolo è costituito dalla differenza tra il
valore normale dei titoli assegnati e l'ammontare pagato dall'assegnatario,
in modo tale da consentire lo smobilizzo o la costituzione in garanzia di un
numero di azioni corrispondente all'esborso effettuato dal dipendente.

Il calcolo del numero delle azioni indisponibili nel quinquennio e del loro
corrispondente valore, deve essere stabilito alla data dell'assegnazione
delle azioni. Il numero di azioni così calcolato deve essere mantenuto
indipendentemente dalla circostanza che il valore delle azioni subisca
modificazioni nel corso del predetto periodo.

Tale modalità di determinazione dell'investimento minimo quinquennale, in
particolare nell'ipotesi in cui il valore delle azioni subisca una
diminuzione nel quinquennio, non costringe il dipendente a dover acquistare
sul mercato un numero maggiore di azioni per tener fede al valore
dell'investimento da mantenere.

Esterovestizione: residenza degli amministratori della società estera

D: La legge non stabilisce il momento di riferimento per la verifica della
residenza degli amministratori. Anche la circolare non fornisce indicazioni
a riguardo. E' corretto ritenere che, in analogia con il criterio utilizzato
per la verifica del "controllo", si debba fare riferimento alla data di
chiusura dell'esercizio della società estera?

Commento

In alternativa, si dovrebbe verificare il dato sulla prevalenza del periodo
d'imposta. Ma la verifica sarebbe resa complessa sia dal fatto che la
composizione del cda potrebbe cambiare nell'anno, sia dalla difficoltà di
definire puntualmente (nel caso in cui uno o più amministratori cambino
residenza in corso d'anno) il momento in cui ha effetto il cambio di
residenza.

R: Il comma 5-bis consente all'Amministrazione finanziaria di presumere
("salvo prova contraria") l'esistenza della sede dell'amministrazione di
società ed enti nel territorio dello Stato, nell'ipotesi di detenzione di
partecipazioni di controllo ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, del codice
civile in società ed enti commerciali residenti (di cui all'articolo 73,
comma 1, lettere a) e b) del Tuir), quando, alternativamente:

a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel
territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, od organo di
gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel
territorio dello Stato. Si ritiene che la residenza degli amministratori
della società estera deve essere verificata con riferimento all'intero
periodo d'imposta sulla base dei criteri previsti dall'articolo 2 del TUIR.

Tassazione dei vincoli di destinazione e dei trust.

D: L'imposta di donazione si applica all'istituzione di qualsiasi vincolo di
destinazione (ad esempio: vincoli urbanistici; fondo patrimoniale;
accettazione di eredità con beneficio di inventario) oppure solo quando con
l'istituzione del vincolo si determini un incremento patrimoniale stabile in
capo a un soggetto definibile come "beneficiario" del trasferimento gratuito
? Conseguentemente, quale imposta è applicabile al vincolo che un soggetto
istituisce con riguardo a un bene che rimane nel suo patrimonio ? quale
imposta è applicabile a un trust di scopo (cioè senza beneficiario) ? Quale
imposta è applicabile nel trasferimento da disponente a trustee di un trust
con beneficiari determinati ? Quale imposta è applicabile nel trasferimento
da disponente a trustee di un trust con beneficiari non ancora determinati ?

R: La locuzione "…costituzione di vincoli di destinazione..." potrebbe
essere genericamente riferita ad ogni negozio giuridico di destinazione di
beni alla realizzazione di un fine, con effetti segregativi e limitativi
della disponibilità dei beni medesimi. Tuttavia, ai fini dell'applicazione
dell'imposta sulle successioni e donazioni, tale locuzione è da intendersi
riferita all'ipotesi di costituzione negoziale del vincolo che comporti il
contestuale trasferimento di beni - anche temporaneo - in capo ad un
soggetto diverso dal d isponente.

Pertanto, tale imposta non è applicabile alla costituzione di vincoli di
destinazione che trovi fondamento in previsioni di legge (beneficio
d'inventario) o provvedimenti amministrativi (vincoli urbanistici).

L'imposta sulle successioni e donazioni non è applicabile nemmeno alla
costituzione di vincoli di destinazione su beni che permangono nella
titolarità del disponente (ad esempio, costituzione di un patrimonio
destinato ad uno specifico affare da parte di una società di capitali, di
cui all'articolo 2447-bis c.c.).

Per quest'ultimo tipo di costituzione di vincoli di destinazione è dovuta
l'imposta di registro in misura fissa, ordinariamente prevista per gli atti
privi di contenuto patrimoniale (articolo 11 della Tariffa, Parte prima,
allegata al Testo Unico dell'imposta di registro) ed, eventualmente,
l'imposta ipotecaria in misura fissa, nell'ipotesi di trascrizione
facoltativa di vincolo di destinazione costituito su beni immobili (articolo
2645-ter c.c.).

Con riferimento al trust di scopo, si osserva che la mancanza di beneficiari
finali dei beni costituiti in trust, non rileva ai fini dell'applicazione
dell'imposta sulle successioni e donazioni, conseguentemente tale imposta è
dovuta per la sola costituzione del vincolo disposta con modalità
traslative, vale a dire mediante attribuzione di beni dal disponente al
trustee.

Qualora il trust sia istituito in favore di beneficiari finali determinati o
determinabili, si osserva che - ferma restando l'applicazione dell'imposta
alla costituzione del vincolo effettuata con modalità traslative - il
successivo trasferimento di beni in favore dei beneficiari finali è soggetta
anch'essa ad autonoma imposizione, da individuare con riferimento al caso
concreto e in base agli effetti giuridici prodotti.

Infatti, al momento dello scioglimento del trust, il trustee effettua, di
regola, un'attribuzione a titolo gratuito in favore dei beneficiari finali,
soggetta all'imposta sulle successioni e donazioni.

Aziende e partecipazioni escluse da tassazione

D: Una delle condizioni per l'esonero da tassazione è che il beneficiario
consegua una partecipazione di controllo. Si può considerare non tassato
anche il trasferimento del pacchetto di controllo di cui era titolare il de
cuius (es. 60 per cento) anche se, per effetto della successione, esso si
ripartisce ad esempio tra tre eredi, e cioè in ragione del 20 per cento
ciascuno ?

R: L'articolo 1, comma 78, lett. a), della legge finanziaria 2007, ha
ampliato il novero delle fattispecie esenti dall'imposta sulle successioni e
donazioni, aggiungendo, all'articolo 3 del TUS, il comma 4-ter, per il quale
"I trasferimenti effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui
all'art. 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di
aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti ad
imposta".

La norma citata, inoltre, dispone che la spettanza del particolare regime di
favore è subordinata al verificarsi di determinate condizioni.

In particolare, nell'ipotesi in cui oggetto del trasferimento siano quote
sociali o azioni emesse da "…società per azioni e in accomandita per azioni,
società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua
assicurazione residenti nel territorio dello Stato…" (articolo 73, comma 1,
lett. a) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817), l'esenzione è applicabile
limitatamente al trasferimento delle partecipazioni "…mediante le quali è
acquisito o integrato il controllo ai sensi dell'articolo 2359, primo comma,
n. 1), del codice civile" (articolo 3, comma 4-ter, del T.U.S.).

Pertanto, nell'ipotesi in cui la partecipazione di controllo posseduta dal
dante causa sia frazionata tra più discendenti, l'agevolazione in esame
spetta esclusivamente per l'attribuzione che consenta l'acquisizione o
integrazione del controllo.

Spetta sempre, invece, l'agevolazione per il trasferimento della
partecipazione di controllo a favore di più discendenti in comproprietà
(articolo 2347 c.c.).

Indicatori di coerenza

D: Il nuovo articolo 10-bis della L. 146/1998 prevede che nell'elaborazione
e nella revisione degli studi di settore si terrà conto in futuro di
appositi indicatori di coerenza (comma 2) e, in attesa di quest'ultimi, dal
periodo d'imposta 2006, di appositi indicatori di normalità economica. Si
chiede se questi indicatori verranno inseriti all'interno del programma
Gerico.

SOLUZIONE PROSPETTATA

La risposta è affermativa, anche per effetto di quanto specificato dal nuova
comma 4-bis della L. 146/1 998, che prevede la copertura dagli accertamenti
analitici-induttivi fino al 40 per cento dei ricavi dichiarati, con un
massimo di 50.000 euro, per chi dichiara ricavi pari o superiori al livello
di congruità "tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli
specifici indicatori" di cui all'articolo 10-bis della L. 146/1 998 (e il
comma 14 dell'articolo unico della Finanziaria 2007 dispone che per gli
indicatori di normalità economica si applicano le disposizioni di cui al
comma 4-bis dell'articolo 10 della L. 146/1 998).

R: Sia gli indicatori, previsti dall'art. 10-bis, comma 2, della legge n.
146 del 1998, così come introdotto dall'articolo 1, comma 13, della legge n.
296 del 2006 (che entreranno progressivamente in vigore a decorrere dal
periodo d'imposta 2007), che gli indicatori di normalità economica previsti
al comma 14, della citata legge n. 296 del 2006 (che riguarderanno gli studi
in vigore per il periodo d'imposta 2006), incideranno direttamente sul
risultato derivante dall'applicazione degli studi di settore effettuato da
GERICO, nel senso che una eventuale "incoerenza" ad uno o più indicatori
comporterà una maggiore stima del ricavo o compenso.

Pertanto, sia il 'ricavo minimo' che il 'ricavo puntuale' sarà maggiorato in
relazione alle ipotesi di incoerenza agli indici di normalità economica
previsti dal comma 14. Si avrà comunque un solo livello di adeguamento: il
soggetto risulterà "non congruo" alle risultanze degli studi di settore nel
caso in cui i ricavi o compensi dichiarati risultino inferiori ai valori
stimati dallo studio di settore, tenendo conto anche dei maggiori ricavi o
compensi derivanti dall'applicazione dei predetti indicatori.

In questo modo lo strumento accertativo mira a contrastare determinate
situazioni palesemente anomale e raggiunge l'obiettivo di una maggiore
selettività dei soggetti da sottoporre a controllo.

Il software GERICO 2007 visualizzerà il maggior ricavo attribuibile a
ciascun indicatore di incoerenza di normalità economica.

Cessazione e inizio attivita'

D: Il nuovo comma 4 dell'articolo 10 della L. 146/1998 prevede che gli studi
di settore non trovino applicazione nei confronti dei soggetti che hanno
iniziato o cessato l'attività nel periodo d'imposta. La novità consiste nel
fatto che la norma specifica ulteriormente che gli studi si applicano
comunque quando:

1) si ha cessazione e inizio dell'attività da parte dello stesso
soggetto entro sei mesi dalla data di cessazione;

2) l'attività costituisce mera prosecuzione di attività svolte da altri
soggetti.

Con riferimento alla situazione n. 1), si chiede se può rientrare in tale
casistica anche quella che si verifica, ad esempio, quando un contribuente
chiude un'attività e apre, entro sei mesi, una completamente diversa da
quella precedentemente esercitata. Ad esempio, un soggetto che chiude
un'attività di alimentari e successivamente apre un'attività di
autoriparatore.

SOLUZIONE PROSPETTATA:

Si ritiene che la norma possa al massimo colpire quelle situazioni in base
alle quali il contribuente chiude un'attività che rientra in uno studio di
settore e apre, entro sei mesi, una nuova che rientra nel medesimo studio di
settore dell'attività precedentemente svolta.

R: La nuova disposizione prevista all'articolo 10, comma 4, lett. b), della
legge n. 146 del 1998, precisa che, a decorrere dal periodo d'imposta in
corso al 31 dicembre 2006, l'accertamento sulla base degli studi di settore
si rende comunque applicabile:

1. in caso di cessazione e inizio dell'attività, da parte dello stesso
soggetto, entro sei mesi dalla data di cessazione;

2. ovvero quando l'attività costituisce mera prosecuzione di attività
svolte da altri soggetti.

Con la prima previsione (cessazione e riapertura entro 6 mesi) il
legislatore mira a contrastare determinati fenomeni posti in essere dai
contribuenti per "eludere" l'applicazione della disciplina degli studi di
settore. Con la nuova disposizione, il legislatore ha inteso, pertanto,
porre un freno anche a queste tipologie di operazioni.

Con riguardo a tale ipotesi, deve ritenersi che la fattispecie si verifica
quando l'attività presenta il carattere della "omogeneità" rispetto a quella
preesistente. Il requisito della omogeneità sussiste se le attività sono
contraddistinte da un medesimo codice di attività ovvero i codici di
attività sono compresi nel medesimo studio di settore.

Le presunzioni

D: Qual è il senso della disposizione del comma 23 della Finanziaria 2007,
che aggiunge all'articolo 10 della L. 146/1998 le parole "qualora
l'ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all'ammontare
dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi", cioè
della norma che dispone che l'accertamento risulta legittimo quando il
contribuente dichiara ricavi o compensi inferiori a Gerico ? E, soprattutto,
perché questa norma dopo che l'amministrazione finanziaria ha sempre
sostenuto che le "gravi incongruenze" richieste dall'articolo 62-sexies,
comma 3, del D.L. 331/1993 si rinvengono nelle disposizioni di cui
all'articolo 10 della L. 146/1998, come l'applicazione di Gerico graduata a
seconda dei regimi contabili dei contribuenti, previsione quest'ultima
abrogata dal D.L. 223/2006? La nuova disposizione è forse da collegare alle
ultime due sentenze delle Commissioni tributarie regionali (Puglia, 19
maggio 2006, n. 42/1 – Piemonte, 19 luglio 2006, n. 27/26) che hanno
inequivocabilmente bocciato gli accertamenti basati solo su Gerico, senza
che siano anche provate le "gravi incongruenze" richieste dall'articolo
62-sexies del D.L. 331/1993? Infine, la nuova norma ha validità anche per il
passato ?

SOLUZIONE PROSPETTATA

La norma non può avere né natura interpretativa (visto quanto richiede lo
Statuto del contribuente per le norme interpretative) né può essere
considerata procedimentale, visto che è senz'altro da porre in relazione al
fatto che, come la ultima giurisprudenza (sia di merito che di legittimità)
ha messo più volte in luce, le gravi incongruenze richieste dal legislatore,
per legittimare l'accertamento da studi, non possono rinvenirsi nel
programma Gerico. Per cui l'intervento della Finanziaria 2007 è da porre in
stretto legame con la previsione dei nuovi indicatori previsti dalla stessa
L. 296/2006. Infatti, già per il periodo d'imposta 2006 si prevedono
appositi indicatori di normalità economica idonei all'individuazione dei
ricavi compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in
relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della
specifica attività svolta. Questi indicatori rappresentano le gravi
incongruenze richieste dalla normativa per legittimare l'accertamento da
studi. Questo vuol dire che la nuova norma trova applicazione per gli
accertamenti relativi ai periodi d'imposta 2006 e successivi, mentre per il
passato l'ufficio dovrà sempre provare le gravi incongruenze riferibili al
singolo contribuente accanto alla non congruità rispetto i risultati di
Gerico.

R: La modifica normativa relativa all'articolo 10, comma 1, della legge n.
146 del 1998, prevista dall'art. 1, comma 23, lett. b), della legge n. 296
del 2006, è correlata alla abrogazione, effettata ad opera del decreto legge
n. 223 del 2006, del comma 2 del citato articolo 10 e ribadisce, ancora una
volta, la valenza probatoria degli studi di settore quale presunzione
relativa, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Infatti, la possibilità di effettuare un accertamento da studi di settore
sulla base del semplice scostamento tra i ricavi o compensi dichiarati e
quelli stimati dagli studi stessi, era già prevista dall'abrogato comma 2
dello stesso articolo 10, ancorché la disposizione facesse riferimento ai
soggetti in contabilità ordinaria.

Non è pertanto intervenuta nessuna modifica sostanziale all'assetto
legislativo precedente, né tantomeno in relazione alle posizioni già assunte
dall'Amministrazione finanziaria nelle circolari n. 58/E del 2002 e n. 48/E
del 2003.

In conclusione, con l'intervento in esame non è stata alterata la ratio che
è posta alla base dell'articolo 10 della legge n. 146 del 1998 in
riferimento alle modalità di accertamento da studi di settore.

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