L'opzione in dichiarazione dei redditi: vale la cosiddetta manifestazione di volontà per facta concludentia. Pertanto, in caso di errore materiale nella scelta di un regime, effettuata attraverso l'opzione in dichiarazione dei redditi, deve ritenersi valido il comportamento concludente tenuto in concreto dal contribuente.

Si è discusso molto sulla natura giuridica della dichiarazione dei redditi, se, cioè, essa configurasse una "dichiarazione di scienza", ovvero se avesse valore negoziale, con la soluzione preferibile che fa concludere per una natura mista, ove il contenuto della "dichiarazione di scienza" attiene alla mera comunicazione all'Amministrazione di circostanze di fatto (il possesso di redditi), mentre l'aspetto negoziale è più limitato e, comunque, circoscritto alla scelta di diverse opzioni o regimi utilizzabili; in questo caso, sarà il contribuente a scegliere la soluzione più idonea alle proprie caratteristiche, fra il ventaglio di ipotesi messo a disposizione dal legislatore.

La natura negoziale di un atto, nel diritto civile, si configura nell'ipotesi in cui gli effetti dello stesso sono collegati, oltre che all'atto stesso, alla "volontà" che quegli effetti si producano; conseguentemente, tali scelte negoziali sono modificabili esclusivamente se incorrono vizi della volontà e, segnatamente, errore, violenza e dolo.
Date tali premesse, come va interpretato, ad esempio, l'erroneo esercizio di un opzione in dichiarazione, e quali sono gli effetti che debbono prodursi?

Un'ipotesi specifica: il caso dell'articolo 36-bis del Dpr n. 633/72
Un'ipotesi che ha dato luogo a un rilevante contenzioso, nel recente passato, è quella dell'opzione, ex articolo 36-bis del Dpr n. 633/72 (dispensa da adempimenti per operazioni esenti), in tema d'imposta sul valore aggiunto.
Tale opzione viene esercitata da soggetti che effettuano esclusivamente, o quasi, operazioni attive esenti dall'Iva, avendo come conseguenza, direttamente prevista dalla norma, la totale indetraibilità dell'imposta assolta sugli acquisti.

Si è frequentemente verificato che i contribuenti presentavano dichiarazioni in cui veniva effettuata la barratura di tale opzione per mero errore. La materialità dell'errore era, di fatto, rilevabile quando il contribuente poneva in essere esclusivamente o prevalentemente operazioni imponibili, con conseguente disinteresse a esercitare l'opzione.
A fronte della situazione, in un passato ormai lontano, l'Amministrazione finanziaria emetteva rapidamente un avviso di rettifica dell'imposta dovuta per l'anno di esercizio (errato) dell'opzione, recuperando integralmente l'imposta detratta sugli acquisti effettuati e, anche a causa della ancora scarsa disponibilità ad annullare gli atti emanati esercitando il principio dell'autotutela, i contribuenti sceglievano la strada dell'impugnazione dell'atto dinanzi agli organi della giustizia tributaria, al fine di vedere riconosciute le proprie ragioni.

A tal proposito, al fine di esaminare eventuali contestazioni, un valido meccanismo di analisi utilizzato dall'Amministrazione era basato sul comportamento della parte, esplicitato nella dichiarazione Iva oggetto della contestazione, al fine di verificare l'assenza di volontà di avvalersi della dispensa da adempimenti per l'effettuazione delle operazioni esenti.

Dall'esame della dichiarazione dell'Iva può rilevarsi il disinteresse all'applicazione dell'articolo 36-bis del Dpr 633/72 quando, da un lato, la società effettua operazioni imponibili, e, dall'altro, ha interesse a ottenere la detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti. Infatti, posto che la conseguenza dell'opzione è la totale indetraibilità dell'imposta a monte relativa agli acquisti, ne consegue che l'interesse ad avvalersi dell'opzione sussiste solo quando l'imposta detraibile sia inesistente oppure particolarmente modesta.

Sul punto, esiste una chiara posizione da lungo tempo tenuta da parte del ministero delle Finanze che, con successive risoluzioni (in particolare le 398380 del 27/7/1985 e 571117 del 18/7/1988), ha affermato che la disposizione contenuta nell'articolo 36-bis è diretta a soggetti che non hanno interesse alla detrazione dell'Iva sugli acquisti per il tipo di attività esercitata; per cui, negli altri casi, l'opzione manifestata può considerarsi inefficace.

La soluzione della problematica in questione è stata agevolata, medio tempore, per effetto di alcune innovazioni normative. In particolare, l'articolo 1 del Dpr n. 442/97 (disciplina delle opzioni) ha specificamente previsto che l'opzione e la revoca devono desumersi da comportamenti concludenti, e che la validità dell'opzione è subordinata alla sua concreta attuazione dall'inizio dell'anno. La statuizione si estende ai periodi di imposta anteriori all'entrata in vigore del decreto citato, per effetto della norma interpretativa di cui all'articolo 4, legge n. 342/2000, secondo cui l'articolo 1 del Dpr 442/97 si intende applicabile anche ai comportamenti concludenti tenuti dal contribuente anteriormente all'entrata in vigore del provvedimento normativo stesso.

Anche la giurisprudenza tributaria ha riconosciuto le posizioni appena espresse (cfr, ad esempio, Commissione tributaria centrale, sentenza n. 8102 del 26/11/2001), disponendo frequentemente l'annullamento degli avvisi rettifica emessi solo sul presupposto della barratura dell'opzione, quando veniva fornita la dimostrazione dell'erroneità di tale barratura.

Evidenziato, dunque, il principio applicabile, la giurisprudenza ha ritenuto, poi, che il "comportamento concludente", prospettato in giudizio, in relazione alla revoca implicita dell'opzione ex articolo 36-bis non può, però, semplicemente "identificarsi negli effetti che intende far valere, ma deve estrinsecarsi nell'attuazione, sin dall'inizio dell'anno di riferimento della pretesa revoca, di modalità operative incompatibili con la posizione dell'opzione, di cui deve fornire la prova (Commissione tributaria regionale del Lazio, sez. XIV, sentenza n. 34 del 06/04/2006)".
Pertanto, sia nella fase di autotutela dinanzi agli uffici dell'Agenzia delle entrate, sia nella eventuale fase del contenzioso, il contribuente sarà tenuto a dimostrare di aver posto in essere tutti gli adempimenti prescritti dall'applicazione del regime ordinario dell'Iva, e di non essersi, in concreto, avvalso della dispensa accordata dall'articolo 36-bis.

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