Con la sentenza n. 675, depositata il 15 gennaio 2007, la Suprema corte ha statuito che nell’ipotesi di affitto d’azienda non compete al proprietario alcuna deduzione delle quote di ammortamento, fino a quando i beni restano nella libera disponibilità dell’affittuario.La controversia in esame trae origine da un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio contestava l’indebita deduzione delle quote di ammortamento a una Srl che aveva ceduto in affitto la propria azienda a un’altra società di capitali.Ricorrendo per la cassazione della sentenza, l’Amministrazione finanziaria deduceva non solo che nella aziende date in affitto le quote di ammortamento possono essere dedotte dall’utilizzatore, ma anche che, nella specie, non era stata posta in essere alcuna pattuizione contrattuale, in deroga all’articolo 2561 del Codice civile, dalla quale risultasse che l’affittuario non era tenuto all’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili (cfr articolo 14, comma 2, Dpr 42/1988).L’ufficio rilevava, altresì, che nella fattispecie in esame non poteva trovare applicazione la disciplina prevista dal comma 4 dell’articolo 102 del Tuir, la quale ammette in deduzione, per una sola volta, il costo residuo dei beni non ancora completamente ammortizzati, nell’unica ipotesi di loro “eliminazione” (intesa come distruzione o sostituzione).La Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.Le ragioni alla base del provvedimento dei giudici di legittimità meritano un preventivo, seppur breve, esame della normativa di riferimento.Il comma 8 dell’articolo 102 del Tuir, che riguarda il trattamento fiscale da riservare alle quote di ammortamento delle aziende date in affitto o in usufrutto, dispone al primo periodo che “per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario”.In sostanza, dalla lettura della citata norma si evince che le quote di ammortamento devono essere dedotte non dal proprietario dei singoli beni costituenti l’azienda, ma dall’utilizzatore (affittuario o usufruttuario) della stessa.Il citato comma 8 (così come modificato dall’articolo 6, comma 9, del Dlgs 247/2005, “correttivo Ires”) prosegue riprendendo quanto disposto dall’articolo 14 del Dpr 42/1988, con il quale era già stato precisato che le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni, quale risulta dalla contabilità del concedente, e sono deducibili fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato.In altri termini, l’affittuario o l’usufruttuario dovranno annotare i beni nel registro dei cespiti ammortizzabili in base al loro costo originario risultante nella contabilità del concedente, effettuando l’ammortamento per la parte del costo non ancora ammortizzato dal concedente.Il fondo costituito dall’utilizzatore, come contropartita delle quote di ammortamento dedotte durante il periodo di locazione, è un fondo anomalo, in quanto non ha natura rettificativa di valori patrimoniali iscritti nell’attivo di bilancio, bensì rappresenta gli accantonamenti effettuati dall’utilizzatore per reintegrare l’eventuale perdita di valore, subita dai beni aziendali durante il periodo di affitto in conseguenza del loro deperimento e consumo, che dovrà essere reintegrata a vantaggio del proprietario dell’azienda.Il successivo comma 2 del citato articolo 14, Dpr 42/1988, ripreso integralmente dall’articolo 102, comma 8, ultimo periodo, prevede che tali disposizioni non si applicano in caso di deroga convenzionale alle norme dell’articolo 2561 cc, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili.Più specificatamente, l’eccezione alla regola dell’ammortamento in capo all’utilizzatore si configura solo nell’ipotesi in cui, in base a un espresso accordo contrattuale, in deroga all’articolo 2561 cc, l’utilizzatore (affittuario o usufruttuario) non sia tenuto all’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili.In tal caso, le quote di ammortamento dei beni aziendali concessi in affitto saranno dedotte dal concedente o dal nudo proprietario, a condizione che quest’ultimo conservi la qualifica di imprenditore. Va tenuto presente, inoltre, che la deduzione delle quote di ammortamento di cui trattasi, presuppone la tenuta del registro dei beni ammortizzabili, da parte del concedente, o di altro libro o registro, secondo le modalità di cui agli articoli 13 del Dpr 435/2001, e 2, comma 1, del Dpr 695/1996.Di conseguenza, se non sono osservati detti obblighi contabili, le quote relative al periodo di ammortamento già trascorso vanno considerate già dedotte per il 50 per cento del loro ammontare.In altre parole, l’utilizzatore, sebbene l’ammortamento andrà commisurato al costo originario del bene, potrà dedurre, durante il periodo di durata del contratto, le quote di ammortamento non oltre la metà del valore di riferimento del bene.I giudici, sulla base di quanto precede e conformemente a quanto disposto dall’articolo 102, comma 8, del Tuir, hanno sostanzialmente ritenuto che le quote di ammortamento dei beni relativi alle aziende date in affitto o in usufrutto non possono essere dedotte da parte del concedente.Pertanto, nella fattispecie in esame, trattandosi di affitto d’azienda, non poteva trovare applicazione quanto previsto dal comma 4, dell’articolo 102, del Tuir, secondo cui solo in caso di eliminazione di un bene non ancora completamente ammortizzato il costo residuo è ammesso in deduzione.Secondo la Corte, detta norma è prevista “nella sola ipotesi di eliminazione (intesa come distruzione o sostituzione definitiva) dei beni del processo produttivo nel quale essi siano strumentalmente impiegati e non quando la loro destinazione produttiva permanga con una diversa imputazione soggettiva, come appunto nel caso di utilizzazione da parte dell’affittuario od usufruttuario dell’azienda”.

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