Con la risoluzione n. 99/E del 3 agosto 2006, l'Agenzia delle entrate è intervenuta nuovamente sulla questione relativa alla tassazione degli immobili di interesse storico e/o artistico, a distanza di sei mesi dalla pubblicazione della circolare n. 2/E del 17 gennaio 2006, con la quale l'Amministrazione si è adeguato agli orientamenti in materia della Corte di cassazione(1).L'Autorità fiscale, nel caso in esame, è stata interpellata da una società, in merito alle modalità con cui deve essere assoggettato a tassazione il reddito derivante da un complesso immobiliare (un ufficio e due posti auto), considerato di interesse storico artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 1089 del 1939, e successive modificazioni e integrazioni.All'Agenzia delle entrate, più precisamente, si è chiesto di confermare se il descritto complesso immobiliare, per effetto del particolare vincolo a cui è soggetto, ancorché sia in regime di impresa, possa concorrere alla determinazione del reddito in base al regime catastale previsto dall'articolo 11, comma 2(2), della legge n. 413 del 1991, a nulla rilevando la circostanza che l'immobile, al momento locato a terzi a uso di private banking, è "destinato alla vendita" e contabilmente "iscritto in bilancio tra le rimanenze di merce".Il contribuente ha fatto sempre concorrere al reddito complessivo l'intero ricavo "netto" generato dalla locazione, come risultante dalla differenza tra i proventi (canoni e proventi di rifusione delle spese condominiali) e i costi (spese condominiali e di manutenzione) correttamente imputati in bilancio per competenza.Dal punto di vista dell'interpellante, il quesito posto troverebbe diretta soluzione in base alle precisazioni fornite dalla stessa Agenzia nella citata circolare n. 2/E del 2006, in base alla quale sarebbe corretto per la società in sede di determinazione del reddito Ires:
rettificare in aumento l'imponibile per un importo pari al reddito catastale, alle spese condominali e di manutenzione, come risultanti dal relativo bilancio di competenza
rettificare in diminuzione l'imponibile per un importo pari ai canoni di locazione, ai proventi di rifusione delle spese condominiali, così come risultanti dal relativo bilancio di competenza.
Il dubbio interpretativo non è del tutto fuori luogo, atteso che all'immobile oggetto di locazione è, in linea di principio, applicabile il particolare criterio di determinazione del reddito su base catastale previsto dal citato articolo 11, comma 2. Tale ultima disposizione, infatti, si applica ogni qualvolta si tratti di un bene immobile riconosciuto dalla legge di interesse storico e/o artistico. Per tale tipologia di immobili, il reddito viene calcolato applicando la minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato.In prima battuta, gli esperti fiscali sottolineano come il predetto criterio catastale, come già affermato nella circolare n. 2/E, si applica a prescindere dal tipo di destinazione (a uso civile o meno) dell'immobile vincolato.Nella fattispicie - è evidenziato nel documento - il complesso immobiliare di interesse storico e/o artistico è di propietà di una società di capitali, il cui reddito complessivo è determinato in base alle disposizioni relative al regime di impresa, contenute alla sezione I del capo II del titolo II del Tuir. Per le società, infatti, in virtù del principio di attrazione nella sfera imprenditoriale, ogni provento percepito, indipendentemente dalla fonte, costituisce reddito d'impresa e concorre alla determinazione del reddito complessivo della società in base alle regole espressamente previste per tale tipo di soggetto Ires.In tale ambito normativo, i casi in cui il reddito degli immobili concorre al reddito complessivo, secondo i criteri catastali stabiliti al capo II del titolo I del Tuir, sono solo quelli espressamente previsti dall'articolo 90 del Tuir(3).Tale particolare disposizione, che deroga all'ordinario criterio di imputazione analitica a conto economico, in pratica, si applica a tutti gli immobili posseduti in regime d'impresa "patrimoniali", cioè beni divesi da quelli strumentali all'esercizio dell'impresa e da quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa.Il giusto coordinamento delle citate disposizioni, secondo l'Amministrazione finanziaria, esclude l'applicabilità del criterio catastale di determinazione del reddito per gli immobili di interesse storico e/o artistico di cui al comma 2 dell'articolo 11, a tutti i beni immobili posseduti in regime di impresa e qualificabili tra i beni "strumentali" e i beni "merci", prevedendola, invece, per i beni "patrimoniali".Tale linea interpretativa è rafforzata, tra l'altro, da un parere della Avvocatura generale dello Stato in base al quale, dal combinato disposto degli articoli 65, comma 2, e 81 del Tuir, discende una presunzione assoluta di strumentalità per tutti i beni appartenenti alle società che "vanno considerati come relativi all'impresa a prescindere dalla loro concreta destinazione". Ciò, logicamente, comporta che "la determinazione del reddito, anche in riferimento ai beni immobili, per le società deve necessariamente avvenire in base ai ricavi realizzati in contrapposizione ai correlativi costi con esclusione quindi delle regole catastali".Estendendo alla fattispecie in oggetto il principio sopra espresso, inevitabilemente, nell'interpello viene respinta la tesi prospettata, poiché gli immobili in questione, contabilizzati in bilancio tra le rimanenze, sono beni destinati alla vendita e, quindi, non inquadrabili "oggettivamente" tra quelli cosiddetti patrimoniali, cui si applicherebbe la previsione derogatoria stabilta al menzionato articolo 90 del Tuir.

NOTE:1) Cfr sentenze n. 10860 e n. 10862 del 23 maggio 2005. 2) L'articolo 11, comma 2, della legge 30/12/1991, n. 413, stabilisce che "in ogni caso, il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato". 3) L'articolo 90, comma 1, primo periodo, del Tuir, prevede che "i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell'articolo 70 per quelli situati all'estero (...)".

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